L’equipe del Meyer di Firenze (Ansa)

Il suo primo passo l’ha compiuto a 11 anni, quando per la prima volta ha provato la gioia di camminare, anche se, per ora, con l’aiuto delle stampelle. Il piccolo paziente soffre di una forma molto severa di osteogenesi imperfetta, patologia genetica che comporta un difetto del collagene e che, nei casi più gravi, provoca una importante fragilità ossea.

Cammina per la prima volta a 11 anni il bambino dalle ossa di vetro

Per questo motivo è comunemente chiamata ‘la malattia delle ossa di vetro’. “E’ il primo bambino che abbiamo in cura che fino a 11 anni non aveva ancora camminato”, commenta Giovanni Beltrami, responsabile dell’ortopedia e traumatologia pediatrica del Meyer di Firenze.

Grazie al lavoro di squadra dei medici dell’ospedale pediatrico, dopo 4 operazioni e un lungo percorso di riabilitazione il bambino con le ossa di vetro è riuscito a stare in piedi sulle sue gambe. Fino ad ora poteva muoversi solo gattonando perché le sue gambe erano fratturate in modo patologico e presentavano una grave deformità con una curvatura a forma di sciabola.

I 4 interventi al Meyer di Firenze

“Abbiamo fatto di tutto per allineare gli arti e permettere al bimbo di iniziare a camminare – continua Beltrami – siamo molto soddisfatti del risultato, il paziente ha risposto molto bene e i risultati clinici sono positivi”.

Tuttavia, ha precisato il medico, in questi casi la medicina non è in grado di “fare miracoli” e la rara patologia non è sconfitta. “Il bambino ha una malattia molto complessa, che andrà avanti. Un pool interdisciplinare di medici dovrà accompagnarlo durante l’evolversi della malattia”, spiega ancora Beltrami.

Lo specialista guida il reparto che ha preso in carico il piccolo paziente e che grazie al cruciale apporto della tecnologica è riuscito a metterlo in piedi. Prima di affrontare la lunga serie di interventi, i chirurghi si sono ‘allenati’ usando modelli a grandezza naturale delle ossa deformi del bambino.

Ma la rara patologia non è debellata

“Abbiamo usato la stampa 3D – spiega il medico – per la pianificazione dell’intervento. Grazie a questa tecnologia facciamo ricostruzioni delle parti interessate su cui ci confrontiamo con gli ingegneri clinici e insieme possiamo pianificare l’intervento basandoci sulla reale situazione del paziente. Anni fa avremo comunque cercato di aiutare il bambino ma con più difficoltà perché ci mancava il valore aggiunto della tecnologia”.

Fondamentale è stato anche l’uso di chiodi telescopici capaci di ‘allungarsi’ e che, aggiunge Beltrami, “permetteranno alla cartilagine di allinearsi e far crescere l’osso dritto anziché deformato. Il bambino avrà una crescita armonica e questo è importante”.