Egregio Direttore,

Il lancio nello scorso mese di gennaio della  pizza all'ananas, da parte di un ingegnoso pizzaiolo di Napoli, e l'accoglienza perplessa dei buongustai, mi hanno fatto ricordare un gustoso aneddoto, di cui  mi  sfugge ora  la fonte, secondo cui, al tempo del fascismo,  l'ananas  era  voce riprovata  dai puristi, per il  conio forestiero della parola e per  il suono un poco  imbarazzante. Per ciò, i guardiani della lingua cercarono di cancellarla  dal vocabolario, senza riuscirci del tutto. 

Non sorprende quindi se la  pigna delle Antille, come allora si diceva, figurasse  nell'elenco delle voci proibite, o, forse, tra quelle soltanto sconsigliate, al pari dei numerosi  barbarismi, su cui i censori non mancavano di esercitare un vigile controllo. Su questa linea di alta vigilanza, si ordinò  agli italiani  di consumare ananassi invece che ananas, un ordine, questo, piuttosto perentorio che, forse, non fu mai impartito, ma che non appare tuttavia inverosimile.   

Oggi, possiamo rallegrarci, mi pare,  del costante successo di un frutto così saporoso, cui è riuscito di risalire la china e di riprendere il suo posto sul proscenio del lessico, precedendo l'ingombrante ananasso.

Distinti saluti,

Maurizio Raviola