di BRUNO TUCCI

Elezioni in Abruzzo, il giorno dopo. Il vento della Sardegna si è tramutato in un refolo. Il campo extralarge non ha funzionato ed ora i suoi “inventori” si chiedono perché. I protagonisti erano troppo diversi, gli elettori non ci hanno creduto, una parte dei grillini al cospetto di Carlo Calenda e Matteo Renzi ha preferito disertare le urne e starsene a casa. Vale la pena di riprovarci?  Romano Prodi è convinto che questa sia l’unica strada per battere in futuro la destra di Giorgia Meloni. Elly Schlein è con lui, non bisogna mollare. Giuseppe Conte temporeggia: in Abruzzo ha preso una batosta che lo ha lasciato tramortito.

Che fare? In compagnia, la strategia si è rivelata un flop, è necessario cambiare rotta. Però si rende conto che se va avanti da solo i suoi 5Stelle finiranno con lo scomparire. E’ un bel dilemma per tutto il vertice della sinistra. Per far finta di nulla, parlano del futuro e cioè delle prossime elezioni in Basilicata per arrivare fino alle europee. Ma se per il primo appuntamento, il discorso può avere un senso, per il secondo non lo ha, perché a Bruxelles i patti non varranno, si gioca al tutto contro tutti. Questo vuol dire che è inutile parlare di accordi sottobanco o fatti alla luce del sole.

Perplessi e anche dubbiosi sono anche gli incerti Calenda-Renzi. Tramontata l’idea del terzo polo e pure quella del campo larghissimo sfogliano la margherita e non sanno che pesci prendere. Tacciono o fanno affermazioni del “tipo politichese” che vuol dire tutto e il contrario di tutto. Un bel dilemma dopo quel vento che spirava da Cagliari a Sassari ed aveva inorgoglito chi aveva scelto Alessandra Todde, la prima donna grillina diventata la presidente della Sardegna.

E’ la fatica di unire che non c’è stata nel tempo che è passato tra una elezione e l’altra. Elly e Giuseppe si sono illusi che il progetto potesse andare fino a mollare il secondo ceffone a Giorgia ed al suo governo. Invano. Alla resa dei conti, se per il Pd è stato un piccolo successo per i 5Stelle è stato un vero e proprio disastro. “Insieme ce la possiamo ancora giocare”, insiste la segretaria che non vive giorni tranquilli in via del Nazareno. I moderati aspettano fiduciosi: un altro passo falso e partirà l’agguato per la poltrona più ambita del Pd.

Nonostante la stravittoria, pure in casa della triade continua a soffiare un venticello che porta seri grattacapi a Palazzo Chigi. Il problema ha sempre lo stesso nome e cognome: Matteo Salvini, il quale è l’unico a far finta di gioire dopo il voto di domenica scorsa.  La maggioranza ha stravinto mettendo a tacere l’opposizione, ma tra le quattro mura domestiche di via Bellerio l’aria non è proprio serena perché il 7 per cento “conquistato” in Abruzzo ha un solo sostantivo: debacle. Traballa Matteo Salvini? Qualcuno sostiene che la fronda è già cominciata. Si fanno i nomi di Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga che insieme potrebbero rianimare il partito e farlo risorgere come ai tempi in cui si era vicini al quaranta per cento delle preferenze. Matteo, invece, la pensa in modo diametralmente opposto e sarà lui a rivoluzionare il Carroccio con nuove nomine e conseguenti bocciature.

Per dirla più semplicemente è ora che Salvini la smetta di essere maggioranza e opposizione insieme. Da vice premier, finisca di scagliare palle avvelenate contro Palazzo Chigi, si convinca che c’è un periodo in cui si è martello ed un altro incudine. Oggi, Giorgia Meloni stravince nella coalizione, quindi è inutile farle una guerra sotterranea che può dimostrarsi soltanto un boomerang.