di SILVIA MARI

ROMA – “Truffa, estorsione, riduzione in schiavitù, maltrattamenti, reati”. Sono questi i fatti che portano ad identificare una setta e si dovrebbe parlare più correttamente di “organizzazione criminale, gruppo che delinque”, perché di questo si tratta. Lo ha spiegato alla Dire Raffaella Di Marzio, esperta di religioni e direttrice del centro studi Lirec in merito al fenomeno delle sette di cui, dopo i fatti terribili di Altavilla Milicia, si parla sempre di più fino al punto di arrivare a lanciare, da più parti, un allarme generalizzato e chiedere una Commissione d’inchiesta sul fenomeno. Qualche giorno fa un’inchiesta della Dire ha portato alla luce il caso di italiani finiti sotto estorsione di un gruppo che pratica in Brasile magia e riti sessuali, tutto venuto fuori dalla denuncia del giurista d’impresa Nunzio Bevilacqua.

LA SETTA DELLA MATRIARCA IN BRASILE

“Si tratterebbe di un’organizzazione criminale, un’associazione a delinquere che agisce anche sulla scia di forme di esoterismo e magia“, spiega la direttrice del centro Lirec.

“Indurrebbero queste donne ad essere più consenzienti, a praticare inseminazioni rituali e i bambini diventano la scusa per coinvolgere questi uomini facendo credere che siano loro figli. C’è ricatto, truffa ed estorsione – prosegue – e alla fine non c’è alcuna certezza sul dna: questi uomini si trovano a dover sostenere le spese per un figlio e vivono in stato di terrore e incertezza. Stando ai fatti riportati si tratta di un’organizzazione criminale che ha dietro un aspetto rituale ed esoterico ed una maga Matriarca che indurrebbe a questa forma di schiavitù le donne e i loro figli: si tratta di traffico di bambini. In questo caso, in un’accezione criminologica l’appellativo di setta è da utilizzare”. Perché è proprio sul termine ‘setta’ che si sta scatenando un putiferio di definizioni, molte improprie ed errate secondo Di Marzio, e di dati di dubbio fondamento.

LA PAROLA SETTA

“La parola setta – chiarisce l’esperta – oggi viene applicata nei media a qualsiasi gruppo non piaccia ad altri, anche dove non ci sono crimini, anche quando si tratta di gruppi pacifici magari solo perché qualcuno è uscito scontento. Preferisco non usare questa parola per questo motivo perché viene utilizzata in un linguaggio d’odio”.

Se poi vogliamo parlare di “atteggiamenti settari e indottrinamento allora questi – spiega Di Marzio – si possono verificare anche nella Chiesa Cattolica, ma questo non fa di tutta la Chiesta cattolica una setta criminale. Se invece – porta questo esempio – nei Testimoni di Geova una persona compie abusi, quando esce la notizia tutti i Testimoni di Geova saranno considerati abusanti e setta”.

L’IDENTIKIT DELLA SETTA CRIMINALE

È l’aspetto criminale a tracciare l’identikit della setta – quella vera – che dobbiamo temere. “Perché se non viola la legge, se non crea danni fisici e psicologici, se le persone sono libere allora non è una setta. Altrimenti anche una suora di clausura che ha deciso di non vedere più la propria famiglia, di vivere chiusa ore e ore a pregare, ritirata dal mondo dovremmo dire che vive una condizione di abuso. Ma se lo ha scelto liberamente non lo è”.

Solitamente in queste sette criminali, “a sfondo religioso di vario tipo, c’è sempre un leader che tende ad imporre la propria volontà. Spesso si tratta di uno squilibrato e lì si perpetrano abusi, crimini, schiavitù, isolamento anche fisico contro la volontà delle persone”.

NESSUN ALLARME SETTE IN ITALIA

Di Marzio contesta profondamente che ci sia un allarme sette in Italia: si sarebbe armato, secondo la sua conoscenza del fenomeno e i suoi studi, “un panico morale”, tutto strumentale che poggia su numeri a dir poco confutabili. “Le sette ci sono in Italia come in tutto il mondo. Anni fa è stato smascherato un santone che maltrattava alcune ragazze, è stato processato e condannato”. I recenti appelli per una commissione d’inchiesta sul fenomeno delle sette parlano di “4 milioni di italiani coinvolti in sette criminali. “Non è vero niente – risponde seccamente Di Marzio – sono assurdità. Sono cifre inventate: alcuni dicono 5 milioni, altri 300mila: non sono dati certi e chi dà queste cifre dovrebbe dire dove le fonda. E a questa domanda le associazioni anti-setta rispondono solitamente che le sette sono segrete, ma allora come fate ad avere questi dati?”, domanda. La sensazione è che in questo calderone finiscano gruppi religiosi che sette non lo sono affatto e che spesso sono sotto tiro, e che alcuni rumors servano a reintrodurre un reato di plagio che la Corte Costituzionale ha bocciato sonoramente anni or sono. “Usiamo i reati che ci sono – spiega l’esperta – come la circonvenzione d’incapace. Il plagio è stato abolito dalla Corte proprio perché era una mina vagante e insinuava nel codice penale l’idea che il processo dovesse essere soggetto alle idee del giudice, come il caso Braibanti ha drammaticamente mostrato”. “Mi sembra più urgente usare i fondi per la prevenzione del fenomeno settario: come cogliere i primi segni di un figlio finito in un gruppo di questo tipo? Come agire? Studiare per prevenire la discriminazione verso gruppi innocui, che io ho visitato personalmente, in cui ho visto persone e bambini felici. Questo serve e non c’è bisogno di leggi speciali”.

GLI ALLARMISTI DELLE SETTE: PRO PAS E PRO PLAGIO

Chi grida all’allarme sette vorrebbe reintrodurre il reato di plagio ed è un fenomeno che s’insinua anche nelle famiglie, nel rapporto genitori-figli quando uno dei due fa parte di qualche gruppo religioso. “Nel 2014 i gruppi antisetta proposero al Consiglio d’Europa – ricorda la studiosa – una raccomandazione che mettesse in guardia gli Stati contro il pericolo delle sette: perché abusanti sui bambini. C’è stata una sollevazione di studiosi perché in quel calderone di definzione ‘setta’ c’era di tutto. E poi: se c’è una famiglia con un genitore abusante si indaga su quel genitore non si criminalizza tutto il gruppo. Penso alla vicenda del Forteto: lì era lo Stato che mandava i bambini nelle mani di soggetti già condannati per abusi, altro che setta”. Quindi spesso nei contesti di separazione, laddove ci sia un genitore che fa parte di un qualche gruppo religioso, conferma Di Marzio con documenti alla mano di alcune storie da lei seguite direttamente, viene tacciato di essere ‘alienante’ e di manipolare il minore. Alla luce del clamore che alcuni fatti di cronaca hanno sollevato, Di Marzio lancia una raccomandazione alla politica: “Le leggi ad hoc sono spesso un rimedio peggiore del male che si vuole combattere. Un male che, come pagine di odio indiscriminato verso persone pacifiche ci mostrano, non si sa nemmeno ben definire”.