Come sostenere gli imprenditori italiani all’estero di fronte ai cambiamenti del mercato imposti dall’amministrazione Trump? Se ne è parlato durante il webinar dal titolo “L’effetto dei dazi sull’economia italiana: sfide, prospettive e nuovi sbocchi” organizzato dalla V Commissione tematica del CGIE “Promozione del sistema Paese e made in Italy”. L’evento ha visto la partecipazione di numerosi Presidenti di Com.It.Es. e Intercomites, oltre a esponenti del Consiglio Generale, ed è stato arricchito dal contributo di quattro autorevoli esperti della materia che hanno presentato analisi e strategie per affrontare le nuove sfide commerciali: dalla diversificazione dei mercati, al rafforzamento della qualità del Made in Italy, alle opportunità di crescita nelle economie asiatiche.
Dal confronto è emerso che la rappresentanza delle comunità italiane all’estero può svolgere, interfacciandosi con le autorità diplomatico-consolari, la fondamentale funzione di raccordo e passaggio informativo, aiutando le imprese a meglio comprendere gli scenari globali, e fungendo da elemento di contatto fra le aziende locali e quelle insistenti sul territorio nazionale.
Aprendo i lavori, Monica Spadafora, organizzatrice del webinar, ha ricordato che, su sollecitazione del Comitato di Presidenza, la Commissione di cui è Vicepresidente aveva approfondito il tema dei dazi in vista dell’Assemblea plenaria di giugno, quando ancora era considerata un’eventualità, mentre oggi è divenuta certezza; Maria Chiara Prodi, Segretaria generale del CGIE, ha sottolineato come i webinar organizzati dalle Commissioni tematiche con la partecipazione di docenti ed esperti costituiscano l’occasione per la rete della rappresentanza di dotarsi degli strumenti più efficaci per sostenere le collettività nel mondo approfondendo le varie tematiche. Da parte sua, Massimo Romagnoli, Presidente della Commissione, ha precisato che attraverso questi incontri si intende fornire un contributo ai tanti imprenditori che operano con l’estero e che vivono e producono oltreconfine; una categoria, motivo di orgoglio nazionale, che deve essere protetta con ogni mezzo perché crea ricchezza, sviluppo e posti di lavoro.
Un quadro generale della politica commerciale statunitense e dell’impatto dei nuovi dazi sulle importazioni dall’Ue, nonché della direzione assunta dal Governo italiano al riguardo, è stato fornito dal min. plen. Enrico Valvo della DGUE del MAECI, Direzione generale nell’ambito della quale è stata costituita un’apposita task force per far fronte alle sfide connesse al cambio di paradigma nelle relazioni commerciali e fornire un supporto alle imprese italiane durante l’attuale fase transitoria, interfacciandosi direttamente con la Commissione europea per la negoziazione dei dazi. È emerso che l’Italia, come terzo esportatore verso gli Stati Uniti, ha mantenuto un forte avanzo commerciale nonostante l’incertezza, registrando nei primi nove mesi del 2025 un aumentato del 9% rispetto all’anno precedente. Si rilevano tuttavia cambiamenti strutturali con una marcata crescita delle importazioni dagli Usa, aumentate del 36%. L’intesa raggiunta tra Ue e Usa, migliorabile nel lungo termine (che ha fissato al 15% il dazio su ogni prodotto europeo), ha avuto il merito di riportare prevedibilità e stabilità nel commercio transatlantico, fornendo alle imprese la possibilità di pianificare gli investimenti, produrre e generare occupazione.
La task force del MAECI ha rappresentato la risposta immediata di assistenza alle imprese nazionali, mentre in ambito Ue l’Italia sostiene con convinzione un’ambiziosa politica commerciale europea che vede come obiettivo strategico l’espansione degli accordi con Paesi terzi, consentendo di diversificare i mercati di sbocco e garantire catene di approvvigionamento sicure per le materie prime. Strada effettivamente intrapresa negli ultimi anni attraverso la conclusione di importanti accordi con Corea del Sud, Giappone, Canada, Singapore, Vietnam e Nuova Zelanda, mentre presto entreranno in vigore quelli con Messico e Indonesia. È inoltre in corso un negoziato con l’India. Allo stesso modo, l’intesa Ue-Mercosur comporta un enorme potenziale per la nostra economia, a patto che sia accompagnata da misure di salvaguardia del settore agricolo. Con l’obiettivo fissato di raggiungere i 700 miliardi di euro di esportazioni globali entro la fine della Legislatura.
Maria Luisa Meroni, esperta del CGIE per Confindustria, dopo aver evidenziato come l’introduzione delle misure protezionistiche negli Stati Uniti abbiano determinato un periodo di forte instabilità per il mercato italiano, colpendo in particolare i settori strategici dell’agroalimentare, della moda e della manifattura, ha illustrato le strategie adottate dalle imprese coinvolte (circa 34 mila) per adattarsi al nuovo scenario riconsiderando il modo di esportare e addirittura di produrre per far percepire meglio il valore e la qualità del made in Italy e renderlo più appetibile agli occhi dei consumatori. In particolare: anticipare la conclusione dei contratti e le consegne logistiche, e al contempo diversificare i mercati verso Medio Oriente, Sud Est asiatico e America Latina. Nello stesso tempo, ci si è posto l’obiettivo di riprogettare la catena del valore, producendo direttamente all’estero, oppure creando hub per la logistica.
In questo contesto, il rapporto di Confindustria “Esportare la dolce vita 2025” è proprio dedicato alla potenzialità di crescita dell’export italiano, con un particolare focus sulle tre F: fashion, food and furniture, che ne costituiscono i fattori trainanti.
Un ulteriore punto di forza è rappresentato dalla collaborazione fra pubblico e privato, che ha visto Confindustria siglare un protocollo d’intesa per il biennio 2026-2027 con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli nel campo della formazione alle imprese.
I dazi però non hanno colpito tutti i settori, perché le categorie del premium e del lusso hanno una notevole capacità di tenuta o sono addirittura cresciute, come nel caso della nautica, del lusso, del farmaceutico e dell’abbigliamento, a riprova del fatto che la caratteristica principale dell’imprenditoria italiana consiste proprio nel “diventare più resiliente di fronte alle sfide dei mercati”.
La diversificazione sui mercati orientali, con un focus sulla Cina, è stata oggetto dell’intervento di Sara Berloto dell’Italy-China council foundation, che ha presentato le opportunità di aumento dell’export nel Sud Est asiatico, in particolare Vietnam e Indonesia, Paesi le cui economie stanno crescendo a ritmi importanti e dove le esportazioni italiane di settori strategici come tessile, abbigliamento, macchinari e agroalimentare sono incrementate costantemente negli ultimi dieci anni.
Dall’analisi dell’economia cinese è emersa una crescita nel 2024 del 5%, con un aumento del 51% della spesa pro capite; gli obiettivi del nuovo piano quinquennale cinese prevedono, fra l’altro, lo stimolo della domanda interna, la promozione dei consumi e il miglioramento del benessere delle persone. Un contesto in cui il nuovo piano d’azione bilaterale tra Italia e Cina, che copre gli anni 2024-2027, potrà favorire il processo, già in atto, di riduzione del deficit commerciale del nostro Paese.
Marco Magnani, docente di International economics presso la Luiss Guido Carli di Roma e l’Università cattolica di Milano, autore del volume “Il grande scollamento – timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione” (ed. Bocconi University press) ha fornito una visione macroeconomica sul protezionismo e i dazi: sebbene questi ultimi rappresentino una sfida significativa (tuttavia una delle tante che le imprese italiane sono abituate a gestire, avendo fatto della resilienza un vantaggio competitivo), non sono il problema principale, ma piuttosto uno dei segni di una trasformazione epocale nel mondo economico caratterizzato dalla volatilità che crea incertezza ed è nemica degli investimenti. Rispetto al generale ritorno al protezionismo, con la tendenza alla frammentazione, una sorta di “scollamento del mondo” in cui la reciprocità non è più la base di riferimento, l’Europa sta affrontando una doppia pressione da parte degli Stati Uniti e della Cina, con effetti negativi sulla bilancia commerciale e incertezza per le imprese, soprattutto quelle medio-piccole che formano l’ossatura dell’economia nazionale. Queste nuove sfide globali richiedono che le imprese italiane, nel medio-lungo termine, innovino i propri modelli di business, diversificando i mercati di sbocco e il modo di operare all’interno di ciascuno di essi, proteggendo quello domestico e riconfigurando le catene di fornitura. Lo Stato, da parte sua, dovrebbe attuare misure per aiutare le PMI ad aumentare la propria competitività.















