Foto: Depositphotos

Alla fine di settembre è iniziata in Russia la seconda ondata migratoria di quest'anno. La prima è di febbraio, dopo l'inizio dell'operazione militare speciale in Ucraina. Sono circa 419mila le persone che hanno lasciato la Russia nella prima metà dell'anno, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2021. Lo aveva riferito Rosstat, l'istituto nazionale di statistica russo, il 6 settembre scorso. Il trasferimento in Europa è un processo burocratico che richiede circa sei mesi, secondo diversi programmi di migrazione. A marzo, questi termini erano ancora accettabili.

Dall'annuncio della mobilitazione parziale, il 21 settembre, le persone non possono più aspettare, devono muoversi subito. Per questo motivo la scelta della maggioranza è ricaduta su Paesi con un regime d'esenzione dal visto nei confronti di Mosca. Secondo le stime di Forbes Russia, nelle ultime due settimane i russi si sono recati principalmente in Georgia, Kazakistan, Turchia e Armenia. Un numero minore ha invece volato verso Dubai, Uzbekistan e Tagikistan. Quasi due settimane dopo l'annuncio della mobilitazione parziale, circa 700.000 persone hanno lasciato la Russia, 200.000 delle quali sono andate in Kazakistan, ha rilevato Forbes. Il Ministero degli Affari Interni della Georgia ha riferito che nella prima settimana di ottobre sono arrivati nel Paese 53.000 russi e 10.000 persone attraversano il confine ogni giorno, con un aumento del 40-45% rispetto a prima del 21 settembre. Nella stessa settimana, 66.000 russi sono entrati nell'UE, con un aumento del 30% rispetto alla settimana precedente, ha calcolato l'agenzia di frontiera dell'UE Frontex.

Il nuovo equilibrio minaccia fragilità, con l'annuncio della mobilitazione che si appresta a minare lo status quo tra la Federazione e lo spazio post-sovietico. Sebbene forti minoranze russe siano presenti in molti Stati vicini, come nel Kazakhstan occidentale, il flusso migratorio è sempre stato rivolto verso la Russia. In molti casi, questa circostanza sta spingendo gli Stati vicini verso posizioni più decise nei confronti della guerra in Ucraina. Certamente, l'allontanamento di migliaia di uomini in età lavorativa avrà delle conseguenze non indifferenti anche sull'economia russa, già fiaccata dall'isolamento delle sanzioni occidentali. "L'ulteriore arruolamento di cittadini per il servizio militare e l'emigrazione di coloro che vorrebbero evitare la chiamata alle armi aumenterà la tensione nel mercato del lavoro, ridurrà la produttività complessiva dell'economia e rallenterà l'accumulo di capitale umano. Questa scarsità di risorse avrà come conseguenze potenziali anche l'indebolimento del dinamismo culturale e politico interno del Paese, già molto limitati per via della repressione e della propaganda", dice Eleonora Tafuro Ambrosetti, Research Fellow presso l'Osservatorio Russia, Caucaso e Asia centrale di ISPI.

Mosca si è resa conto fin dall'inizio dell'operazione militare in Ucraina che una pressione eccessiva sul suo vicinato post-sovietico avrebbe potuto destabilizzare la regione, e ha preferito quindi astenersi dall'avanzare troppe richieste nei suoi confronti. Non è stato chiesto a questi Paesi, ad esempio, di riconoscere le autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, né di esprimere sostegno all'operazione speciale. È stato sufficiente per Mosca che loro rimanessero neutrali.

La mobilitazione potrà creare rilevanti difficoltà ai vicini del Cremlino, almeno in Paesi che, come nel caso dell'Armenia, hanno un'incidenza in termini di popolazione relativa molto bassa rispetto ai numeri degli spostamenti. Con una popolazione complessiva di soli 3 milioni di abitanti, l'Armenia è infatti già stata profondamente colpita dall'afflusso di nuovi arrivati, che hanno catalizzato l'impennata dei prezzi delle case e dell'inflazione, provocando al contempo un mini boom economico con le stime di crescita del PIL armeno che per quest'anno sono quasi raddoppiate. In Georgia, invece, i migranti russi possono trovare riparo per un anno senza registrarsi e gli attivisti politici possono continuare da qui il loro lavoro. Tuttavia, in Georgia prevalgono sentimenti contrastanti nei confronti dell'emergenza di confine, in parte per la paura di una mossa ulteriore del Cremlino volta a "proteggere i cittadini russi" e a rafforzare così l'influenza di Mosca nel Paese. È ancora presto per dirlo, ma lo spostamento attivo di persone potrebbe segnare l'inizio della decostruzione dello spazio post-sovietico come lo conosciamo e alla sua ricostruzione in uno "spazio post-Russia-moderna".

La politica estera della Federazione e degli Stati europei rischia d'incagliarsi su un presente di guerra, mancando di lungimiranza politica per il futuro. Conclude Tarfuro Ambrosetti: "Una disfatta sul piano militare di Mosca potrebbe essere dirimente per lo stallo che stiamo vedendo, dentro e fuori la Federazione. Il fatto rappresenterebbe per la prima volta la sconfitta di uno Stato nucleare da parte di uno non-nucleare, con enormi conseguenze sul piano dell'immagine che la Russia vuole proiettare di sé come potenza garante della sicurezza, soprattutto all'interno dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). Nella definizione degli equilibri internazionali che verranno, il ruolo dell'Europa sarà fondamentale. Dobbiamo potenziare l'accoglienza della diaspora russa con scambi accademici e di cooperazione, proprio ora che l'aggressività del regime in declino è destinata a montare".