Sebbene sia abbastanza palese a tutti gli osservatori dotati di un minimo di obiettività che il tempo politico di Luigi Di Maio è già ampiamente scaduto, egli continua a deliziarci con le sue scemenze, frutto apicale di un movimento tutto basato sulla più irrazionale emotività. Questa volta il suo obiettivo dichiarato sono i presunti responsabili del disastro annunciato della Banca Popolare di Bari. In una intemerata pubblicata lunedì scorso sul "Blog delle Stelle", il nostro eroe sembra vestire i panni di un novello Torquemada della finanza pubblica, ciò soprattutto con l’intento di alzare il solito polverone onde nascondere l’evidente imbarazzo per un salvataggio uguale in tutto e per tutto a quello realizzato per altri istituti di credito, tra cui il Monte dei Paschi di Siena, dagli ex nemici mortali del Partito Democratico.

In particolare, Di Maio scrive che "non ci sarà nessuna pietà per i manager e gli amici degli amici che hanno ridotto così la banca", evocando l’immagine di una giustizia medievale basata più sulla spietata vendetta del sovrano che su una forma di corretta e ragionevole sanzione stabilità dalla legge. Ma non basta, "il Presidente del Consiglio – continua Giggino – solleciterà la Banca d’Italia e i commissari ad una azione di responsabilità sui vecchi manager, quelli che hanno creato il buco di bilancio della Popolare di Bari, prestando evidentemente soldi agli amici degli amici, che poi non li hanno restituiti". Con questo ulteriore passaggio, a parte la sgrammaticatura finale con un orripilante "li" di troppo, il capetto politico dei grillini ha già anticipato il giudizio, stabilendo che è "evidentemente" tutto fin troppo lampante. Beato lui!

Conclude poi, dopo aver annunciato la trionfale costituzione della solita e del tutto inutile commissione parlamentare sulle banche, con una affermazione da antologia, segnatamente dal punto di vista della coerenza logica: "Non stiamo parlando degli imprenditori onesti di questo Paese, ma dei ‘prenditori’ che prendono soldi grazie alle amicizie nelle banche e poi non li restituiscono. Tutto questo per noi è inaccettabile e vogliamo fare chiarezza". Dunque, traducendo dal gigginese, Di Maio già conosce i motivi che hanno causato questo ennesimo tracollo bancario, ossia gli intrallazzi tra banchieri infedeli e "prenditori" rapaci, tuttavia chiede che si faccia chiarezza perché loro, gli onesti e integerrimi a 5 Stelle, questo non lo possono più accettare, essendo "incazzati neri" come il protagonista del magnifico film di Sidney Lumet, Quinto potere.

A questo punto dobbiamo forse dedurre che la chiarezza pretesa, lungi dal ricostruire dinamiche e responsabilità che sembrano già note al Torquemada di Pomigliano d’Arco, sia la stessa che il tribunale dell’inquisizione estorceva agli sventurati di turno? Ah, saperlo! Comunque sia, con crescente preoccupazione per le sorti del Paese, registriamo un linguaggio e una impostazione politica, se così la vogliamo definire, che nulla, ma proprio nulla hanno a che vedere con una basilare responsabilità di governo, la quale dovrebbe in primis evitare di anticipare verdetti e sentenze, lasciando agli organi competenti il compito di accertare i fatti. In tal senso, se per un sistema pericolante come il nostro risulta assai rischioso mantenere al potere coalizioni in cui qualcuno indugia nel doppio ruolo di partito di governo e di lotta, ciò lo è ancor di più con coloro i quali, i grillini, hanno costruito la loro oramai svanita fortuna politica sulle più strampalate teorie complottistiche di natura economica e finanziaria.

CLAUDIO ROMITI