Da qualche settimana è l’unica parola che risuona nella nostra vita giorno e notte. Una mia vecchia zia che ha quasi raggiunto il secolo in buona lucidità, dice che la storia dell’infezione somiglia alla guerra, ma non è la guerra. Lei c’era quando, dopo l’8 Settembre, gli alleati bombardarono Foggia e fecero ventimila morti in un paio di giorni. Lei sa cos’è stata la guerra, quella vera.

Suo nipote, che sono io, ha superato i 70 anni, è nato dopo la guerra voluta dal fascismo e adesso è sigillato in casa per gran parte del tempo, in attesa che il bombardamento del virus cessi. I giornali, vecchio vizio, la lettura di qualche libro, un occhio sul video in attesa di novità dalla peste dell’oggi. Una rapida uscita per la spesa nella città dove abita, Pescara. Strade deserte come nelle domeniche ecologiche, si trova persino il parcheggio. Bus vuoti, salvo qualche extracomunitario. Mascherine di legittima difesa.

Code al panificio, al pescivendolo, al macellaio, al fruttivendolo, alla farmacia. Code ordinate, numeretti in mano, distanza del metro imposto e anche di più. Chiacchiere a distanza per vincere l’imbarazzo e a nascondere la paura, perché quella non si deve mostrare. Aria mesta, come si conviene a una Quaresima o Quarantena nel caso in specie.

Il nipote non ha conosciuto la guerra, ma questo ordine, questa sottomissione generale, salvo i soliti furbi, mostra la paura di una guerra muta, soffocante. L’ordine delle file somiglia a una preghiera in una basilica all’aperto, in attesa del miracolo. Non arriveranno i cacciabombardieri, non gli eserciti dei liberatori, non la punizione del nemico. C’è il silenzio che inquieta più dei cacciabombardieri. Guardi il tuo vicino di fila e devi faticare a mantenere la calma.

Può essere lui, quel signore nascosto dalla mascherina, può essere lui il tuo untore, il tuo involontario assassino. Non hai conosciuto la guerra, alla tua generazione è stato evitata dalla sorte. Meglio così, ma ‘sto Coronavirus non ha una bella cera. E non ce l’ha nessuno dei tuoi compagni di fila al macellaio, al pescivendolo, al panificio, al fruttivendolo, alla farmacia.

Ti sei caricato di ogni ben di Dio, a conferma che non è come la guerra, a parte le patate in ricordo della fame che hai sentito raccontare dai tuoi nonni e dalla tua zia centenaria. Ti trascini come un asino con la pesante soma delle provviste per la resistenza al virus. Rimane la prudenza ultima. La coda all’ascensore per salire in casa. Uno alla volta. Ognuno con la faccia torva alla ricerca del nemico nascosto nel vicino. Per fortuna non è la guerra.

ANTONIO DEL GIUDICE