Sono passati 200 anni dal filosofo che ha scritto l’altra metà della storia del Novecento. O meglio: non avendo saputo immaginarla, l’ha fatta scrivere agli altri, con risultati spesso tragici. Karl Marx nacque il 5 maggio 1818 da una famiglia della media borghesia di Treviri, in Germania. Città che andava conoscendo i primi singulti della Rivoluzione Industriale e, con essa, le prime profonde ingiustizie che scaturivano da un capitalismo con poche briglie e molta voglia di fare quattrini. Era un marginalizzato: la famiglia era ebrea, ed il padre cambiò il cognome da Mordecai in Marx per dare ai figli la possibilità di entrare nell’amministrazione dello Stato, o nell’esercito. Un destino da piccolo borghese: poche volte nella storia i sogni dei genitori sono stati così lontani dagli ideali dei figli.

La borghesia, secondo Marx, era al tempo stesso vittima e carnefice nel sistema capitalista, di cui lui analizzò con acume le potenzialità. Carnefice perché imponeva, in un sistema industrializzato, il furto ai danni dell’operaio di parte del suo guadagno legittimo, privandolo del cosiddetto plusvalore del prodotto finito. Una teoria che, paradossalmente, Marx aveva preso dal padre di tutti i liberismi, Adam Smith.L’idea del plusvalore Marx l’aveva in qualche modo ritorta, adattandola così alla sua visione personale della Storia, mutuata dall’hegelismo di sinistra sulla base di quel concetto così carico di dialettica e mutamento che è, nella Fenomenologia dello Spirito, il rapporto servo-padrone.

In sintesi Hegel sosteneva che c’è sempre un servo e c’è sempre un padrone, e questa è la tesi. Ma poi il servo raggiunge l’autocoscienza, vale a dire si accorge che il padrone lo sfrutta (e questa è l’antitesi). A quel punto rovescia il rapporto, e si rende padrone di se stesso (sintesi, e fine della storia). Marx, giovanotto brillante e sociologo di splendide letture, applicò lo schema nientemeno che alla storia umana. Si chiama materialismo storico. Con lui il capitalista borghese divenne il padrone, il proletariato il servo, la sintesi la rivoluzione proletaria e la società senza classi: quella in cui tutti sarebbero stati padroni dei mezzi di produzione, con l’eliminazione di qualsiasi sovrastruttura sociale.

Scrive Karl Loewith che nell’elaborazione di questa visione ottimistica della Storia giocò per Marx la sua origine ebraica: la Storia non è ciclica, come sosteneva in quegli stessi anni Nietzsche, ma finalizzata ad una Rivelazione. Insomma, più che un filosofo Marx fu un profeta. Il problema è, semmai, che oltre ad essere un profeta disarmato fu anche un profeta senza profezia. La società senza classi, quella comunista, era infatti una bella espressione che però occorreva riempire: come si sarebbe articolata? Sarebbe stata priva di ogni controllo, come avrebbero voluto gli aborriti anarchici di Bakunin nella Prima Internazionale? Marx non dà risposta, e questo avrebbe avuto nel Novecento, secolo dell’applicazione pratica delle sue profezie, conseguenze terribili.

Innanzitutto, quando la Rivoluzione arriva, non arriva dove c’è il capitalismo imperante. Al contrario, la Russia è il paese europeo dove ci sono meno borghesi e meno operai. Quella bolscevica, annoterà immediatamente in Italia Antonio Gramsci, è una rivoluzione “nonostante il Capitale”. Come se i quattro tomi dell’opera centrale di Marx avessero trovato al tempo stesso, sulle strade di San Pietroburgo,la loro conferma e la loro smentita. Poi, una volta giunti al potere, Lenin e i bolscevichi non hanno quelli che una volta si sarebbero chiamati gli strumenti ideologici per affrontare la fase del socialismo vittorioso. In altre parole: non sapevano che pesci prendere per gestire la stanza dei bottoni.

Li soccorse il concetto di dittatura del proletariato. Cioè: in attesa che scompaiano le classi, la classe proletaria avrebbe avuto tutti i poteri. E con essa il partito comunista. Inevitabilmente la storia del marxismo-leninismo fu quella del tentativo di adattare il verbo del Fondatore al processo di creazione di un’autocrazia. Una trasformazione che anni dopo
avrebbe trovato ne “La Fattoria degli Animali” di George Orwell la sua migliore descrizione.

Parimenti in Cina il Partito Comunista di Mao Ze Dong avrebbe dovuto adattare lo schema marxiano alla realtà locale, sostituendo i proletari con le masse contadine ed uno stato autoritario sostenuto da un sistema simile a quello dei mandarini ad un partito di rivoluzionari di professione. Il Comunismo, comunque, si espande per i cinque continenti, ingaggiando in un letale braccio di ferro l’altro sistema politico emerso nel XX Secolo: la democrazia liberale. Il crollo del Muro di Berlino segnerà la vittoria di quest’ultimo modello,
ma nel frattempo il comunismo avrà scritto un libro nero i cui capitoli portano come titolo il nome di Pol Pot, di Ceausescu o Stalin. Miseria della filosofia, verrebbe da dire. Due secoli dopo, quindi, qualcuno potrebbe concludere che Marx sia definitivamente passato ai libri di storia del pensiero filosofico, lontano dalla politi capraticae dalla prassi economica.