Dicono che la "nuova politica " abbia nei "social", strumento ormai indispensabile per favorire una più ampia comunicazione, una delle sue componenti essenziali. Sarà pur vero e, anche se, con ostinazione forse degna di miglior causa, continuiamo a preferire la "vecchia politica", dobbiamo prendere atto che, in effetti, Internet è, ormai, un mezzo ineludibile per consentire ai cittadini di partecipare alla vita pubblica, al punto che il nuovo governo vuole garantirne a tutti l’uso gratuito per mezz’ora al giorno. Ma se ci soffermiamo ad esaminare le indicazioni che da un'analisi dei "pronunciamenti" che emergono da questa partecipazione, non possiamo non prendere atto del fatto che queste indicazioni sono soprattutto due ed entrambe non gradevoli, ma significative per rendersi conto della mutazione genetica degli italiani.

La prima è l'affiorare di una crescente insofferenza nei confronti della democrazia, almeno nelle forme e nei modi nei quali l'abbiamo finora vissuta. Se è vero, infatti, che - secondo la definizione di Norberto Bobbio - la democrazia è "un insieme di regole, primarie e fondamentali che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure", non si può non avvertire che queste regole provocano sempre maggior fastidio. È un fastidio che si articola secondo due schemi diversi e contrapposti: da un lato c'è l'insofferenza per così dire di élite; una élite che fatica sempre più a riconoscersi nei verdetti di una maggioranza che ritiene impreparata ed è portata a compiacersi del proprio
ruolo di "minoranza pensante"; dall'altro quella di una vasta fetta di cittadini che, secondo i canoni del populismo, si esalta nel mito dell'uomo forte, di colui, cioè, che infischiandosene delle norme e delle procedure, interpreta gli umori popolari, anche i meno nobili, della gente, parlando alla sua pancia più che al suo cuore e al suo cervello (ed ecco spiegato il successo di Matteo Salvini).

La seconda indicazione che ci viene data dalla lettura dei messaggi e messaggini che affollano i siti Internet è che gli italiani - diciamolo senza ipocrisie - sono in maggioranza fondamentalmente razzisti. Possiamo pensare di Salvini tutto il male del mondo - e francamente di lui pensiamo assai male - ma non possiamo dargli dello sciocco. Se ha puntato le sue carte su una spietata offensiva contro migranti e rom è perché si è accorto che elettoralmente (il leader leghista agisce come in una permanente campagna elettorale) questo gli avrebbe giovato. Ecco, dunque, un'ulteriore conferma della trasformazione degli italiani alla quale abbiamo fatto cenno. All'insegna del cliché che ci definiva "italiani brava gente", eravamo considerati un popolo generoso, tollerante, aperto, sempre disponibile a quella solidarietà che oggi il capo dello Stato invoca nella generale indifferenza. Non sono più queste le caratteristiche che ci contraddistinguono. Salvini, che lo ha capito più di altri, agisce di conseguenza. "Gli italiani - diceva Ennio Flaiano corrono sempre in aiuto dei vincitore". È quel che sta accadendo anche questa volta. Servirebbe, per contrastare questa non nobile tendenza, una minoranza efficiente, determinata, promotrice di idee e di validi progetti. Per ora, purtroppo, all'orizzonte non la si vede comparire.