Non ha dubbi il professor Fabrizio Mollo dell’Università di Messina, docente associato di Archeologia classica: «Questo è uno dei grandi patrimoni dell’Italia e del Sud. Fa parte della nostra identità e non può essere portato altrove, per cui contare su questa realtà nel momento in cui il turismo va molto bene e c’è una riscoperta, una valorizzazione, diventa un obbligo e la Regione deve intervenire».

La terza campagna di indagini archeologiche nel Foro di Blanda, cinque intense settimane di scavo sotto il sole implacabile del Sud sul colle del Palècastro tese a svelare 2700 anni di storia e, in particolare, comprendere la situazione planimetrica e l’evoluzione della struttura dell’abitato, è terminata e il gruppo di lavoro (studenti, laureati, specializzati e specializzandi, dottori di ricerca) può ritenersi più che soddisfatto.

Blanda, come spiega il professore Mollo, è stata la città più importante della fase romana ma anche in epoca enotria-indigene e lucana, per cui il sito tra VI sec. a.C. e sino al VI sec. d.C., rappresenta uno dei più importanti insediamenti archeologici della Calabria. Il sito di Blanda, che sorgeva al confine tra la Calabria e la Basilicata, alla foce del fiume Noce, nel territorio che ora appartiene al comune di Tortora, la cui amministrazione ancora una volta in maniera encomiabile ha reso possibile la campagna di scavi mettendo a disposizione attrezzature, ospitalità e supporto logistico, rappresenta uno dei più importanti parchi archeologici della Calabria.

L’equipe messinese del prof. Mollo, rafforzata da circa 40 ricercatori e studenti dell’Università della Calabria e di altri atenei d’Italia, da tempo svolge ricerche sulla la città di Blanda Iulia, una colonia di veterani romani databile alla fine del I sec. a.C., in vita sino all’età di Alarico come importante centro amministrativo dell’area del golfo di Policastro, nata in seguito alla guerra annibalica quando fu preso ai Lucani. Si tratta di un lavoro di ricerca “volontario” perché, come assicura il prof. Mollo, questa ricerca non è supportata da fondi pubblici. Gli studiosi vanno avanti a proprie spese per la «sete delle riscoperta», nel tentativo di valorizzare quello che è diventato ormai uno dei più grandi parchi archeologici della Calabria e soprattutto quello che potrebbe riservare le più importanti e inattese novità.

Le ricerche degli ultimi anni, infatti, hanno aumentato il contesto archeologico fruibile, in vista dell’imminente completamento dei lavori del parco. Come è stato spiegato ai giornalisti, anche quest’anno le indagini hanno riguardato l’area del Foro della città romana. Sono stati indagati i settori nord del Foro stesso e sono state rintracciate le botteghe che si dispongono attorno a un grande portico coperto, un porticus triplex, di cui si è individuato un poderoso e ampio crollo del tetto. Per meglio comprendere l’evoluzione della struttura dell’abitato di Blanda, una volta completata l’esplorazione dell’area cosiddetta 1000 posta a ridosso del tempio cosiddetto A, con una serie di edifici appartenenti agli isolati posti a nord e a sud della plateia A, proprio a ridosso dell’ingresso al Foro, le novità più significative sono riferibili al settore alle spalle del tempio A del Capitolium.

Qui è stato rinvenuto un poderoso livello di materiali arcaici, già individuato nel 2017, riferibili a un abitato enotrio posto sulla parte sommitale del Palècastro. Secondo gli studiosi si tratta delle prime attestazioni di un insediamento indigeno databile nella prima metà del VI sec. a.C., una delle più grandi scoperte degli ultimi anni, considerato che per la prima volta è emerso un livello arcaico relativo al 560-550 a.C., dunque più antico delle tombe della prima fase della necropoli, databili invece tra 540 e 520 a.C., un orizzonte dove i contatti degli indigeni con il mondo greco sono labili e sfuggenti. Al di sotto degli strati di riempimento della strada rinvenuta e indagata per una ventina di metri circa la fogna, che sembra essere stata abbandonata tra la fine della metà del II sec. d.C.

Elida Sergi