La disputa tra politici e magistrati è da tempo, purtroppo, una delle più sgradevoli caratteristiche della nostra vita pubblica. Ne abbiamo avuto e continuiamo ad averne quotidiane manifestazioni da quando lo tsunami di "mani pulite" scompaginò, con enorme fragore, il sistema politico del nostro paese segnando la fine di quella Prima Repubblica che pure aveva prodotto risultati tutt'altro che negativi e azzerando un'intera classe politica che, oggi, in più di un'occasione rimpiangiamo. Chiunque abbia a cuore le sorti della nostra democrazia, non poteva non augurarsi che questo stato di conflittualità cedesse il posto ad un più armonico equilibrio nei rapporti tra due poteri, esecutivo e giudiziario nei quali si articola, insieme con il potere legislativo, la nostra vita nazionale.

Così non è stato. Dobbiamo, anzi, non senza amarezza, constatare che, negli ultimi tempi, la conflittualità tra politica e magistratura ha compiuto, negativamente s'intende, quello che potremmo definire "un salto di qualità". Sino ad ora, infatti, uno degli elementi distintivi di questo conflitto era costituito dall'invasione di campo che la magistratura tentava di compiere in un'area riservata alla politica. Adesso stiamo assistendo al fenomeno inverso: sono i politici che vorrebbero sostituirsi ai magistrati, svolgerne le funzioni. Matteo Salvini è l'indiscusso campione di questo indebito tentativo di occupazione di spazi altrui. Il suo comportamento nella vicenda della Sea-Watch, ne è evidente testimonianza. Basti pensare all'ordine da lui impartito al prefetto di Agrigento di procedere all'espulsione della "capitana": un ordine improponibile senza un preventivo nulla osta della Magistratura.

È lo stesso Salvini che, rivolgendosi a quei magistrati (e ce ne sono stati e ce ne sono) che volevano sostituirsi ai politici, affermava: "Si presentino alle elezioni, si facciano eleggere e poi saranno autorizzati a questo tipo di interventi". Ora questa frase gli si ritorce contro perché di fronte alla sua ingerenza in questioni che attengono all'amministrazione della giustizia, i magistrati gli rivolgono un analogo invito: "Studi giurisprudenza, si laurei, faccia il concorso in Magistratura, lo superi, e poi potrà metter becco nelle questioni che riguardano la giustizia". Sbagliano gli uni e gli altri perché è inaccettabile che le questioni della giustizia siano di pertinenza esclusiva della Magistratura, ma è al tempo stesso inammissibile che la politica voglia dettare ai giudici le sentenze e stabilire chi debba essere assolto e chi condannato.

Viene da ripetere l'antica locuzione latina: unicuique suum. A ciascuno il suo. Perché uno Stato di diritto non può prescindere da quella ripartizione dei poteri indicata a suo tempo da Montesquieu. Purtroppo le recenti vicende del nostro paese e le contrapposizioni che esse hanno determinato e stanno determinando, ci inducono a ritenere che quei principi siano caduti nel dimenticatoio. È in atto una sorta di guerra della quale l'unica cosa che si sa con certezza è che, ad uscirne sconfitta sarà la credibilità dello Stato italiano già, per altri versi e per altri motivi, precipitata così in basso che più in basso non si può.

OTTORINO GURGO