Sorpresa! Scandalo! Matteo Renzi lascia il Pd. E il Governo, il Palazzo, i media, e (forse) il paese sobbalzano. Per una volta, tuttavia, questo è un caso in cui a Renzi proprio non si può rimproverare nulla. Né la sorpresa, né le intenzioni. E se davvero Giuseppe Conte è rimasto di sasso a sentire l’annuncio, se davvero, come ha detto, "Renzi è stato poco trasparente", i casi sono due: o Conte vive nella bambagia, o Conte vive nella bambagia.
In entrambi i casi la sua reazione ci dice qualcosa di molto serio sul livello di rimozione su
cui si fonda il Governo che ha insediato l’Avvocato a Palazzo Chigi.
A proposito di sorpresa. Mi par di ricordare che il senatore fiorentino confessò il progetto di
lasciare il Pd già alle sue dimissioni dopo il referendum del 2016 – al punto che la domanda se avrebbe fatto un partito o un movimento è diventato negli anni un gioco di società in più
di un dinner party fra Roma e Milano.
La scissione è stata infine annunciata sempre meno velatamente negli ultimi mesi, fino
all’annuncio nelle ultime ore. La possibilità di questa separazione, ricordiamo anche questo, è stata una delle ragioni calate sul tavolo da chi non voleva questo Governo o, per lo meno,
voleva prima le elezioni anticipate.
Il Pd, si diceva, a causa dell’incognita Renzi è troppo fragile per poter assumere sulle sue
spalle la responsabilità di un esperimento di Governo così audace come l’alleanza con i 5
Stelle.
Renzi, si ripeteva, sia che resti, sia che vada, con i suoi numeri in Parlamento avrà il controllo della durata della legislatura, sarà il vero padrone di casa dell’esecutivo giallorosso.
Non esattamente un mistero, dunque. Persino per i più disattenti osservatori della politica
italiana – figuriamoci per gli addetti ai lavori.
Capitolo motivazioni. Il senatore di Firenze sa bene che da anni la sua persona attrae un fiume di critiche (comprese quelle di chi scrive). La più ripetuta, e "sentita" da coloro che non ne hanno condiviso né la linea politica, né l’assalto al cielo del potere romano e del partito, è di essere un uomo che ha tradito ogni ideale della sinistra, guidato solo dal
proprio opportunismo e dalla propria sete di potere. Critiche che sono state riproposte tutte insieme in queste ore per criticare la scissione. Ma viste le condizioni del presente quadro politico, questa indignazione ha molto poco filo da filare.
Si è appena insediato un Governo fra due ex nemici che improvvisamente hanno scoperto
che che ne valeva la pena, anzi era un atto di eroismo pubblico abiurare alle proprie posizioni precedenti per formare insieme una coalizione - nientemeno! Nessuna formula intermedia presa in considerazione, nessun appoggio esterno o Governo tecnico! Direttamente un matrimonio.
Principi considerati di ferro fino ad un’ora prima, sia per i 5 Stelle che per il Pd, sono stati
modificati in una rapida conversione alla ragion di Stato. Giro di valzer perfettamente
incarnato dal premier che è lo stesso che ha guidato una coalizione di destra a trazione Salvini, e che poi in venti giorni è divenuto il garante della democrazia in Italia Certo, il viale che li ha portati tutti a Palazzo Chigi è pavimentato di alte intenzioni e buoni
propositi (la salvezza dell’Italia, naturalmente), ma nessuno può negare che si è trattato di
un bell’atto di trasformismo, nonché di un sostenuto desiderio, nemmeno ben nascosto, di
guidare il potere italiano.
Tra le ragioni per cui dovremmo ammirare il nuovo assetto viene citata la responsabilità
di gestire le nuove nomine delle aziende di Stato nella prossima primavera e successivamente l’elezione del presidente della Repubblica.
Per battere il sovranismo e per riportare in paese in Europa, ovviamente. Guai dunque a parlare di poltrone per questo Governo. Si incazzano tutti – a dispetto della rissa e ressa cui abbiamo assistito intorno al più piccolo sediolino di sottogoverno.
Perché allora attaccare Renzi che dice apertamente nella sua prima intervista da scissionista che vuole contare in questa spartizione? Perché definirlo poltronista dato che le
poltrone – pardon, gli incarichi – sono al cuore della formazione del nuovo Governo? Perché
definirlo "traditore", se lascia? Forse che quando Bersani andò via - e proprio Renzi lo accusò di tradimento - non si difese la libertà e l’orgoglio della scissione? Insomma, povero Renzi, ci tocca ora difenderlo dal doppio standard.
Ma, si dice, in questo modo Renzi destabilizza il governo. E certamente Renzi ha tutte le
intenzioni di far pesare la sua presenza. Ma il suo strumento maggiore rimane il controllo
dei numeri nei gruppi parlamentari del Pd. Con la sua azione interna ai gruppi ed esterna come nuovo partito, può pesare, tirare fili, far ballare, ma rimane una tattica tutta interna agli equilibri delle forze che governano. Tattica che regge fino a che i numeri rimangono quelli di oggi.
O fino a che il nuovo partito diventa sufficientemente grande da poter vincere. Dunque, paradossalmente, Renzi si aggiunge come quarto ai tre soggetti, Conte, Pd e M5S, cui non conviene far finire male la legislatura. Almeno per ora.
Niente fuochi di sbarramento, dunque, please.
Qui non ci sono molti buoni pulpiti da cui far la predica all’ex leader. Se ci spostiamo così dal terreno dell’indignazione, l’agitazione creata dalla mossa di Renzi nel mondo politico, si capisce molto meglio.
Se si guarda alla scissione come "messaggio" diretto a fuori le mura dei palazzi, se ne capisce meglio la portata. Come spesso ha fatto in passato, l’ex premier ha ancora una volta scelto una mossa che rompe gli alibi che circondano la politica.
Nel Pd ha sempre agito come rivelatore dell’ipocrisia dell’unità interna – con quanta velocità
i dirigenti di allora scelsero il giovane fiorentino quando fu in odore di vittoria? E Letta non
fu forse concesso agli appetiti di Matteo non appena sbattè un pugno sul tavolo (anche dell’allora Quirinale)? Anche oggi la reincarnazione pubblica di Renzi svela le debolezze altrui.
Svela ancora una volta che il Pd non ha saputo gestire bene il suo passaggio verso il Governo.
Svela che a due giorni dal completamento della compagine governativa Conte siede su un
formicaio, non certo sul piedistallo di una nuova pacificazione nazionale. E infine, svela l’opportunismo senza fine dei 5 stelle che a due settimane dal giuramento hanno già abbassato le vele della navigazione orgogliosa e indipendente per fare catenaccio alle Regionali, preparare il proporzionale, e ora anche accettare Renzi, l’odiatissimo Renzi, come alleato diretto, non più confuso fra gli altri senatori qualunque nei vellutini rossi del
Senato.
Renzi, insomma, non pone direttamente un pericolo numerico per la stabilità, ma occupa di
nuovo lo spazio pubblico: quello dei media, delle polemiche, dei social, insomma di quella
agorà permanente che è oggi il vero spazio della politica.
Non a caso quello che ha occupato e continua ad occupare Salvini, di cui vuole diventare,
come ha detto subito, l’unico antagonista.
Il vero pericolo che Renzi costituisce per il Governo, insomma, non è quello di farlo cadere, ma di metterlo in ombra. Ed è già accaduto.

LUCIA ANNUNZIATA