La senatrice Silvia Vono è transitata dal partito dei pentastellati a quello nuovissimo di Renzi, Italia Viva. Di Maio ha tuonato minacciando di farle pagare una multa di euro centomila, come è previsto da un accordo che i candidati del partito di Grillo pare sottoscrissero al momento della candidatura. Basterebbe questo per far capire cosa sono davvero i grillini. Non sono dilettanti allo sbaraglio, come qualcuno ha detto più volte in passato. Infatti, le cose che ora affermerò – e chiedo scusa per la loro ovvietà – possono capirle tutti, perfino i dilettanti della politica, non essendovi bisogno di esserne professionisti. I grillini perciò sono purtroppo peggio dei dilettanti, in quanto incapaci del tutto di capire le più elementari dimensioni delle norme che reggono l’ordinamento dello Stato.

Perché fa soltanto sorridere che Di Maio minacci di applicare questa sanzione di centomila euro? Per il semplice motivo che se questa clausola fosse stata davvero inserita in questo accordo preliminare alla candidatura, essa sarebbe radicalmente, universalmente, irrimediabilmente nulla. Essa sarebbe infatti non solo contraria alla legge, ma ancor prima alla Costituzione, la quale, invece, come tutti sanno – meno Di Maio – tutela la posizione del parlamentare, stabilendo che il suo mandato ricevuto dagli elettori è assoluto e insindacabile da chiunque, cioè che esso va esercitato senza alcun vincolo del votato nei confronti del votante.

E ciò per il semplice motivo che l’elettore, nel sistema costituzionale parlamentare, non è una specie di datore di lavoro che possa imporre al suo rappresentante vincoli e limiti che questo sarebbe tenuto a rispettare, ma invece, ben diversamente, il portatore di una idea della politica che, affidata ad un soggetto destinato a sedere in Parlamento, può essere anche declinata in molti modi, anche imprevedibili, perfino indesiderati dal votante, il quale, se vorrà, al successivo turno elettorale potrà votare diversamente. In ogni caso, il rapporto fra elettore ed eletto è di stampo pubblicistico e costituzionale, non potendo in alcun modo assimilarsi ad un rapporto di diritto privato come quello fra mandante e mandatario.

Si tratta di tipologie diverse di rapporti fra di loro irriducibili, ma i grillini non lo sanno. Sicché, da un lato, è patetico e sconfortante assistere ad esponenti politici pentastellati che, di fronte ad obiezioni di questo tipo, si affannano a ripetere una lezioncina imparata a memoria, tanto assurda quanto risibile, quale, appunto, la similitudine fra datore di lavoro e lavoratore, senza neppure capire quello che dicono. Bisognerebbe che coloro che forniscono loro argomenti con cui affrontare le trasmissioni televisive o le interviste capissero a loro volta che sarebbe ora di finirla con simili sciocchezze, sarebbe ora di imparare a ragionare secondo i principi dello Stato costituzionale di diritto.

Dall’altro lato, invece, che Di Maio parli ancora di multe ed amenità del genere per chi transiti ad altra formazione politica non è patetico e neppure sconfortante: è semplicemente allarmante. Infatti, Di Maio non è il barbiere di fronte casa o il fornaio all’angolo, con tutto il rispetto per questi antichi e necessari mestieri, senza i quali non sapremmo come fare. È addirittura il Ministro degli Esteri, il capo della nostra diplomazia, una sola parola del quale può in astratto anche provocare un significativo incidente diplomatico. Ma, quando dice cose del genere circa improbabili multe, parla e pensa come neppure un barbiere o un fornaio.

VINCENZO VITALE