Come è noto, il Senato ha approvato la cosiddetta manovra economica del Governo giallo-rosso, in attesa che la Camera segua a ruota con un contestato voto di fiducia il 22 dicembre, così da permettere ai soci della traballante maggioranza di festeggiare il Natale con un peso in meno sul groppone. Tuttavia, malgrado i toni trionfalistici di qualche esponente dell’Esecutivo – tra cui il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, il quale l’ha definita "un piccolo miracolo" – siamo di fronte all’ennesima manovra del nulla, in cui prevalgono i due fattori patologici che da decenni caratterizzano il provvedimento più significativo nella vita di un Governo, correttamente definito Legge di Bilancio: impostazione dilatoria, tendente a nascondere sotto il tappeto i nodi principali che gravano sulla tenuta dei conti pubblici, e assoluta mancanza di coraggio politico, ammesso e non concesso che si possegga Ne è fallito il pensiero (si fa per dire). È fallita in ogni settore in cui abbia messo mano. Ha fatto pressoché scomparire quel tanto di "antipolitica" già trasfusa o data in prestito ad altre forze politiche, quale la Lega di Matteo Salvini. Non è stata certamente battuta dall’unica realtà che può definitivamente accantonarla e farla scomparire: una politica seria e produttiva, di norme rigorosamente disegnate (ed applicate) nei rapporti tra i poteri dello Stato. Siamo sempre convinti che contro l’antipolitica ciò che può veramente sradicarla, batterla, ridicolizzarla è solo il buon governo. Una storia, un’era di buon governo. Ma anche nei limiti del minor male, dell’imitazione di un modello ancora lontano a realizzarsi, l’antipolitica ha perso la sua battaglia. Sta perdendo quel tanto di credibilità che si era acuna adeguata visione in merito, nel tentare di toccare gli aspetti, o almeno alcuni di essi, che da tempo impediscono al nostro sistema economico di crescere secondo le proprie potenzialità. Così accade che, mentre si strombazza ai quattro venti il mancato aumento dell’Iva per 23 miliardi, caparrata col rullar dei tamburi e le sconcezze comiche. Potrebbe dirsi che non siamo ancora alla chiusura della crisi che aveva spalancato la porta delle istituzioni all’antipolitica. Direi che questa, più che è una crisi è la parodia della politica messa in piedi da quattro cialsi evita di spiegare al popolo che nei prossimi due anni, dato anche l’andamento stagnante del Pil, sono in arrivo altre vagonate di clausole di salvaguardia per un importo complessivo che sfiora i 50 miliardi. Ovviamente in questo ultimo caso sarà ancora più arduo sperare di superare lo scoglio con analogo ricorso a nuovi debiti, così come i geni della lampada attualmente al potere hanno fatto, e a nuove tasse, visto che chi amministrerà il Paese a partire dal secondo semestre del prossimo anno dovrà confrontarsi con una sfilza di ulteriori balzelli a scoppio ritardato, tra cui plastic e sugar tax, innescati dai geni medesimi. E l’interrogativa indiretta su "chi amministrerà il Paese" nel futuro a breve è assolutamente d’obbligo dal momento che, oltre a quanto esposto, tutta una serie di dossier dai risvolti catastrofici, tra i quali l’ex-Ilva di Taranto, l’eterno bubbone di Alitalia e quello più recente della Banca popolare di Bari, si stanno incamminando verso la strada infernale delle nazionalizzazioni, secondo i disegni deliranti dei fieri incompetenti a 5 Stelle. In definitiva, un secondo dopo aver approvato l’ennesima manovra del nulla, la logica vorrebbe che gli improbabili sodali di una maggioranza politicamente morta ne traessero le logiche conseguenze, ridando la parola agli elettori. Comunque sia, a prescindere da ciò che accadrà nei mesi a venire, con l’ennesima manovra che non taglia di una virgola una spesa corrente eccessiva e di pessima qualità e che di fatto aumenta le tasse e i debiti, si compie un altro piccolo ma significativo passo verso quell’inferno del sottosviluppo in cui le false speranze di una politica fallimentare a 360 gradi ci stanno conducendo da tempo.

CLAUDIO ROMITI