Negli ultimi anni lo abbiamo detto spesso, dopo l’11 settembre, dopo le stragi che hanno minato le nostre sicurezze quotidiane e ci hanno convinto a rinunciare a un po’ di libertà personale, a un pezzetto di privacy e di mobilità, per guadagnare in protezione. Proprio come oggi. Dovremo restare in casa due settimane, rinunciando se possibile anche alla corsetta con gli amici al parco. Non sappiamo quando il coronavirus sparirà, magari da solo con l’arrivo dell’estate o neutralizzato da un vaccino, né in quali condizione lascerà l’economia del mondo, se farà più morti della Sars o della ‘suina’. Sappiamo che nulla sarà più come prima, e faremo bene a ricordarcene quando il Covid-19 avrà avuto la peggio e noi saremo tornati al cinema e al centro commerciale, o a rivedere le aziende made in Italy guadagnare a Piazza Affari. Annotiamo qui due brevi appunti da tenere a mente per il dopo.

Il primo. La salute non ha prezzo, non è un luogo comune, meno che mai se è quella di tutti ad essere minacciata nello stesso istante. La sanità efficiente è una bene primario, costituzionalmente garantito ma anche economicamente conveniente. Sarà interessante, alla fine di questa dolorosa storia, calcolare il saldo tra le spese sostenute per potenziare reparti e pronto soccorso e i tagli avallati negli ultimi 10 anni al sistema sanitario per sistemare i bilanci di Stato e Regioni. Dopo ci ritroveremo macchinari e servizi per cui nessuno più si dovrà preoccupare, hanno detto il ministro Speranza e alcuni assessori. Peccato essere corsi ai ripari quando la curva endemica era già schizzata verso l’alto e questo investimento l’unica cosa da fare. I cinesi hanno costruito sedici ospedali in pochi giorni per curare i contagiati, noi ne abbiamo chiusi troppi negli ultimi anni e ora in pochi giorni siamo corsi a recuperare strutture e personale dismessi tanto in fretta. Il saldo, se mettiamo dentro i punti di Pil persi e le trimestrali da cestinare – incalcolabile il dolore per tante vite concluse senza nemmeno un abbraccio - temiamo non sarà positivo. Ricordiamocene dopo, quando andremo a cercare ‘sprechi’ per far tornare i conti pubblici.

Il secondo. Anche l’informazione è un bene primario in una società civile, un asset decisivo per prevenire, curare e combattere il panico alimentato dalle fake news. In questi giorni di escalation della crisi i siti di informazione hanno registrato un boom di accessi e letture, le trasmissioni televisive di approfondimento record di ascolti, anche i giornali cartacei hanno aumentato le vendite in edicola e bene ha fatto il sottosegretario Andrea Martella (ha la delega all’editoria) a ricordare il ruolo di presidio fondamentale del sistema informativo all’interno della più generale strategia contro il coronavirus. "Mai come in questo momento vale il principio costituzionale di un aiuto dello Stato al settore", ha dichiarato in un’intervista a Repubblica. "Significa che la filiera che interessa soprattutto la carta stampata va tenuta in piedi e non interrotta: editori, stampatori, distributori, edicole". L’informazione è un bene pubblico, anche se prodotto da soggetti privati in regime di concorrenza. Ricordiamocene dopo, quando riprenderà la contesa politica ordinaria e si tornerà, nelle piazze elettorali, o nei comizi in diretta Facebook, a demolire il ruolo dei media per interessi di bottega o per semplice ignoranza.

Mai come in questi giorni da reclusi in casa e in attesa che il virus si spenga abbiamo tutti bisogno di notizie certe e aggiornate. Chi produce informazione di qualità svolge un’attività di pubblico interesse complementare a quella di altre categorie, ai medici, ai magistrati, ai politici. Raccontare come stanno le cose, rispettando regole e principi di onestà e verità, è un’attività che non può essere garantita dalle sole leggi del mercato (la crisi della pubblicità dura da oltre un decennio e ha già decretato la morte per asfissia di tanti piccoli e grandi media giornalistici). Ricordiamocene dopo, quando tutto sarà passato e torneremo allegramente a proporre tagli all’editoria o disdette di contratti di servizio. Altrimenti tutto tornerà come prima e nulla cambierà in meglio.

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