Pizzerie di Napoli in rivolta. Civile ma ferma la protesta, pizzaioli e ristoratori non ci stanno. Non sanno spiegarsi, proprio non ci riescono, perché unici in Italia, sono titolari di un’anomalia, inconcepibile e ingiustificata secondo loro. Si leva quindi alta la rabbia, che lievita e ingigantisce, senza riferimento alcuno a pizze e ripieni, in questi giorni intitolati al coronavirus e in previsione della Pasqua imminente. La protesta è manifesta negli appelli, unico destinatario il governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Chiaro e in tutta onestà legittimo il motivo conduttore che non trova omologhi nelle ordinanze che regalano la vita nelle altre regioni, in tempi di virus, e nei decreti firmati dal presidente del Consiglio. "Perché altrove si può e in Campania no?", il punto di domanda è indubbiamente pertinente. In Campania, e solo in Campania, è vietata, assolutamente proibita, la consegna di pasti a domicilio. Come da ordinanza del presidente De Luca, qua e là unico nelle sue decisioni. Il governatore è per le posizioni dure, drastiche e, se occorre, estreme. Talvolta anche in contrasto con le disposizioni in arrivo da Roma.

Pizzaioli e ristoratori napoletani e campani chiedono di essere omologati ai colleghi del resto d’Italia. Non domandano esclusive, comportamenti e decisioni a loro vantaggio. Pretendono che venga riconosciuto un loro diritto, lo stesso che scandisce un minimo di vita nel campo del pasto quotidiano, in regime di epidemia. Lanciato un appello al presidente De Luca; i social a funzionare da cassa di risonanza. "Chiediamo di aprire ristoranti e pizzerie dopo il tredici aprile, alla scadenza dell’ultima ordinanza. Riaprire per le consegne a domicilio, vietate solo in Campania". In calce al documento la firma del presidente della Fipe Confcommercio, Massimo Di Porzio. L’erede di un’antica famiglia napoletana di pizzaioli e ristoratori, titolare della nota pizzeria "Umberto", nei pressi della centralissima piazza dei Martiri. Un centinaio i firmatari della richiesta/appello, tra questi anche Gino Sorbillo, una celebrità in campo internazionale.

"D’accordissimo tutti noi con la linea assunta dal presidente De Luca, però abbiamo bisogno di una mano". Una mano, un aiuto in questo senso. Ristoratori e pizzaioli napoletani e campani non possono mettere in ginocchio o prone le loro attività centenarie. Sorbillo ricorre ad alcuni esempi: "A Tokyo il forno della mia pizzeria è rimasto sempre acceso, lo è anche ora. A Milano sforno 150 pizze al giorno, le consegniamo a domicilio. Chiedo a De Luca di farci riaprire. Siamo tutti d’accordo ad adeguarci con staff ridotti al minimo indispensabile e con corrieri specializzati". Ristoratori e pizzaioli uniti nell’immane disagio vogliono "riaccendere il fuoco di Napoli". Gli imprenditori napoletani del food hanno postato sulla loro bacheca un flashmob via social. Nomi, ditte, marchi storici, griffe della pizza: Sorbillo, Mattozzi, Di Matteo, Antica Pizzeria Michele, Antica Pizzeria Port’Alba, Poppella, Pepe, 50 Kalò di Ciro Salvo, La Notizia, Carraturo, e altri.

"Voglioriaprire" il documento siglato da Confcommercio. Sentono il peso della responsabilità delle famiglie dei loro collaboratori che aspettano e anelano un sostegno. L’appello è condiviso su facebook. "Voglio condividere i miei impegni con fornitori e contratti senza chiedere aiuti a nessuno. Voglio poter scegliere la consegna a domicilio, come nel resto del mondo. Il virologo professore Burioni ha detto che i contenitori da asporto non sono veicoli di pericolo o di contagio". Corale il richiamo a un’esigenza primaria, da difendere con forza e cuore. "Voglio lavorare, io ho sempre lavorato. Un uomo che non lavora è un uomo senza dignità". A Napoli, del cibo cotto consegnato porta a porta, si discute da settimane. "A un mese dall’inizio del lookdown è necessario avviare un confronto per individuare il percorso adatto per riattivare in sicurezza il servizio a domicilio".

I pizzaioli napoletani non possono più aspettare, non possono permettersi di rinunciare ad introiti sia pure minimi: è in gioco la loro sopravvivenza. "Possiamo fornire un utile servizio alla cittadinanza e dare respiro a un comparto, il nostro, che ritroverà la normalità in tempi lunghissimi". Chiedono, vogliono riaprire anche se solo per le consegne a domicilio. "Con un protocollo di sicurezza, anche se dobbiamo mettere termometri all’ingresso dei locali e le mascherine al personale". Massimo Di Porzio garante della categoria. "Un solo cuoco in cucina. Ma non possiamo più aspettare, ci è stato tolto un diritto. Il provvedimento governativo consente il delivery, perché in Campania non possiamo scegliere?". Venticinque dipendenti e una pizzeria celebre nel mondo, una filiale anche a Londra e presto un’altra a New York, Alessandro Candurro della famosissima "da Michele", è arrabbiato ma non smarrisce lucidità e compostezza.

"Quindici giorni di chiusura sono diventati due mesi. Il food è l’oro di Napoli, non si può perdere così. Siamo disposti a riaprire anche se dobbiamo sfornare solo dieci pizze al giorno, invece di mille". Il sindaco De Magistris sta dalla parte di ristoratori e pizzaioli, ma non contro De Luca. "Condivido le due posizioni, ma è un grave errore non consentire la consegna di cibo a domicilio". Non solo pizze e cibo, a Napoli protestano anche pasticcieri e fornai. Pastiere, casatielli, tortani, colombe: questo doveva essere il loro momento. Invece niente. Sanzionati una pasticceria al Vomero e un forno al Rione Alto. Sì, multati, diffidati, chiusi. Creatori e produttori di pastiere e casatielli si uniscono alla protesta: chiedono di poter consegnare a domicilio il dolce e il salato della tradizione. Pastiere e casatiello porta a porta non farebbero male a nessuno. Anzi…

Franco Esposito