QUI il CAPITOLO 2

NASCE LO SCUDETTO Il 6 gennaio 1898 si disputò a Genova il primo incontro storico del football italiano tra il Genoa e l’Internazionale di Torino (154 spettatori paganti al campo di Ponte Carrega). Nello stesso anno, in una sola giornata di maggio a Torino, si svolse il primo campionato italiano. Lo vinse il Genoa nella finale contro l’Internazionale di Torino dopo che entrambe avevano eliminato il Football Club Torinese e la Ginnastica Torino. Questo è il primo "scudetto" che figura nell’albo d’oro dei campionati italiani. Lo "scudetto", distintivo di stoffa applicato sulla maglia di gioco all’altezza del cuore, apparve per la prima volta nel 1924 sulle maglie del Genoa che aveva appena vinto il suo ottavo campionato. Il "triangolo" tricolore era sormontato dalla corona di Casa Savoia e sul bianco c’era lo stemma sabaudo, una croce bianca in campo rosso. In pratica, lo scudetto era la bandiera italiana. Dal 1927, fu affiancato dal fascio littorio. Poi, con la Repubblica, si è ridotto al triangolino tricolore. Nel dicembre 1899, dal connubio di sportivi italiani e inglesi in una birreria, nacque il Milan Cricket and Football Club. Insomma, al Nord, il calcio si diffuse rapidamente alla fine dell’Ottocento e sorsero club che avrebbero fatto la storia di questo sport in Italia. A Napoli ci trastullavamo con l’Open Air, l’Helios e l’Audace. C’era bisogno di una spinta per portarci al livello del Nord. Eravamo in ritardo nell’ex Regno delle Due Sicilie. A Palermo, su iniziativa del console inglese Joseph Withaker, sorse nel 1897 l’Anglo Panormitan Football Club, matrice gloriosa del Palermo. E, a Torino, 15 marzo 1898, sorse la Federazione italiana gioco calcio (Figc). Col calcio si faceva proprio sul serio.

NAPOLI GRANDE CITTÀ A quei tempi, a Napoli, il cinematografo era la grande novità e la grande attrattiva. Le prime proiezioni cinematografiche Lumiére si tennero al Salone Margherita (31 marzo 1896), pellicola muta e café-chantant, il nuovo e il vecchio che si incontravano. Da Padova arrivò un venditore di grammofoni e dischi, Mario Recanati, che mise su un negozio nella Galleria Umberto e vi proiettava i film La formazione del Genoa che vinse il primo campionato italiano nel 1898 che faceva venire da Parigi sino ad aprire successivamente la Sala Recanati solo per il cinema. L’anno prima (1895) era stata ultimata via Caracciolo dopo undici anni di lavori rubando spazio al mare e alla spiaggia adiacente la Villa Comunale. Fu un avvenimento l’inaugurazione in piazza Trieste e Trento del primo faro elettrico (26 novembre 1896). Negli ultimi anni dell’Ottocento erano stati completati la Galleria Umberto, l’edificio della Borsa e quello dell’Università al corso Umberto. Grandiosi cantieri andavano trasformando la città in più punti. Si dette il via al quartiere popolare sull’isolotto di Megaride (1886), sei edifici riservati agli sfrattati del quartiere Santa Lucia dove l’opera di bonifica e nuove realizzazioni stavano mutando profondamente l’antico assetto del rione in riva al mare. La costruzione del Borgo Marinari, sull’isolotto di Megaride, venne conclusa nel 1927. Napoli veniva sventrata e rifatta. Nuove "prospettive" trasformavano il volto della città. Nuove strade, nuovi quartieri. Con i materiali di risulta della bonifica dei quartieri Pendino, Porto, Mercato, Montecalvario fu realizzata la colmata che creò un nuovo lungomare, da via Partenope a via Nazario Sauro. I lavori durarono quattordici anni, dal 1896 al 1910. Via Santa Lucia e via Chiatamone non s’affacciarono più sul mare. L’area urbana inglobò i casali di Ponticelli, Barra, San Giovanni a Teduccio, Secondigliano, Chiaiano, Soccavo, Pianura. La Napoli di mezzo milione di abitanti, la più popolosa città italiana dell’Ottocento (566.596 abitanti al censimento del 1903), si avviò a raddoppiare i suoi cittadini finché supererà il milione di residenti. Da città borbonica Napoli si trasformava in una moderna città dello Stato unitario. Il pallone fu soverchiato da opere più grandiose e da attività più mondane. Tuttavia, il dado pallonaro fu tratto e bisognava dare tempo al tempo perché diventasse il gioco della passione popolare.

MIMMO CARRATELLI

(fine)