Eccola la nuova paura: non è il razzismo. Né le critiche che piovono sul governo perché non ferma gli sbarchi. È la questione di prepararsi in maniera adeguata nel caso in cui il contagio dovesse riprendere a settembre. Il timore si tocca con mano e basta un semplice episodio a scatenare la rabbia di quanti hanno sofferto durante il virus. Avviene così in Calabria, ad Amantea per la precisione (un paese sul mar Tirreno in provincia di Cosenza). Dove la popolazione ha inscenato una vibrante protesta perché un gruppo di clandestini aveva contratto la malattia e poteva essere assai pericoloso ospitarli. La gente chiede come potremmo combattere una tale eventualità e chi è al vertice della sanità risponde invocando una vaccinazione di massa contro l’influenza autunnale, una scrupolosa verifica dei focolai, un più attento esame di coloro che potrebbero essere portatori sani.

Si dice invece no al lockdown perché secondo molti scienziati chiudersi a riccio non darebbe nessun risultato, se non quello di inasprire la gente costretta a casa senza la minima libertà. "Basta importare malati", si grida a destra. Invece di litigare e di mordersi un giorno si e l’altro pure, nei Palazzo si cerchi un compromesso. E anche una via d’uscita che renda più tranquilli gli italiani. Il rispetto delle regole vale per tutti. Anche per il Governo, i cui esponenti, al contrario, non sanno che pesci prendere per le divisioni che esistono non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche fra gli "amici". Cosicché il pericolo diventa incombente. Ci si augura solo che in autunno il Paese non ritorni ad essere invaso dal Covid-19. Rendendo sempre più precaria una situazione economica già al limite del collasso.

Si spendono milioni per i clandestini, mentre tanta gente (leggi gli italiani) non sa come mettere insieme il pranzo con la cena. Queste persone si domandano: "è giustizia questa? Siamo tacciati di essere razzisti, ma è vero il contrario, Siamo ospitali e corretti, ma abbiamo il diritto di difendere i nostri figli". Servono soldi, ma il danaro non arriva. Per ora è soltanto una promessa che tarda a concretizzarsi. Parole al vento senza né capo, né coda che rendono ancora più difficile una situazione già di per sé assai precaria. Quali iniziative prende il governo? Litiga molto, tentenna tanto, decide poco. Conte va dalla Merkel, ma non ottiene nulla se non "una ipotesi" di miliardi che il premier rifiuta se l’Italia si deve piegare a certe condizioni. Nemmeno sul futuro delle autostrade si riesce a trovare uno straccio di accordo.

Si dice sempre che siamo alla stretta finale, poi si rinvia di un giorno, di due, di dieci. Ecco perché dilaga l’inciucio. Le forze politiche non trovano il minimo comune multiplo e allora si va avanti a tentoni. Spingendo per maggioranze che non hanno la minima possibilità di essere alla guida del Paese se non per pochi spiccioli di giorni. Prodi al Quirinale, Draghi a Palazzo Chigi? Si naviga a vista facendo nomi che magari rifiutano a priori una tale responsabilità. E allora? "Bisogna sperare nella Divina Provvidenza", sostiene un vecchio cattolico appartenente alla prima Repubblica.

REDAZIONE CENTRALE