Un’ora di colloquio cordiale, privato e senza interruzioni tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti è servito per delineare l’agenda della Lega nei prossimi mesi e la road map delle prossime settimane. Punto centrale, la riorganizzazione politica con il varo imminente della segreteria che cristallizzerà la maggiore "collegialità" invocata praticamente da tutti dopo le Regionali: Giorgetti sarà uno dei vice con Lorenzo Fontana e Andrea Crippa, ma per tanti motivi il più "pesante".

Poi lo spazio della Lega in Italia, soprattutto se a fine legislatura dovesse passare la legge elettorale in senso proporzionale, e quello in Europa dove gli equilibri stanno cambiando.Una "fase due" del partito che vedrà anche aprirsi i giochi per la tornata di elezioni amministrative 2021, con Roma, Milano e Torino ma anche Bologna e Napoli su cui mettere la testa. Su questo, già la prossima settimana, il leader leghista ha intenzione di vedere Giorgia Meloni e Antonio Tajani per discutere le candidature. I due hanno parlato poi delle elezioni americane, che potrebbero cambiare a breve i riferimenti geopolitici.

Soprattutto se, come Giorgetti teme, Donald Trump perdesse la Casa Bianca. Cuore dell’incontro nell’ufficio di Salvini al Senato è stata appunto la segreteria politica, annunciata dal leader dopo la battuta di arresto alle Regionali, con l’obiettivo di un maggiore raccordo con i territori. Ne faranno parte i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, governatori come Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, rappresentanze dei sindaci e responsabili dei Dipartimenti. Non nuove nomine, bensì un modo per far funzionare meglio la macchina-partito. Quanto all’Europa, Giorgetti ha proseguito nella missione di tentare di "ammorbidire" la linea muscolare del partito. Senza, per ora, incassare risultati. Salvini, drastico nel bocciare ogni ipotesi di ingresso nel Ppe (a cui peraltro Giorgetti ha rinunciato) rimane scettico anche davanti alla prospettiva di dialogo con i Popolari, e in particolare con la Cdu tedesca.

L’idea di "morire centrista" non lo affascina. Eppure, al Parlamento Europeo le cose si stanno muovendo. Proprio ieri un eurodeputato leghista, il pugliese Andrea Caroppo, ha lasciato il gruppo passando ai "non iscritti" (il gruppo misto di Strasburgo). Già in rotta da mesi con il gruppo dirigente, Caroppo è considerato vicino a Fratelli d’Italia, e viene dato per certo il suo futuro approdo nell’Ecr (i Conservatori & Riformisti) di cui Giorgia Meloni è appena diventata presidente. Una destinazione rinviata per non creare attriti tra alleati. Beffa dopo il danno, così il Carroccio scende a 28 componenti e perde il primato di partito nell’aula a favore proprio della Cdu. Il capogruppo Marco Zanni se ne duole fino a un certo punto: "Ci dispiace ma andiamo avanti per la nostra strada.

Con il Ppe c’è un problema politico, con il Rassemblement di Marine Le Pen abbiamo radici e obiettivi in comune che portiamo avanti in Europa. Il ragionamento di Giorgetti sul fatto di dover dialogare con il Ppe è pragmatico e la Lega lo porta avanti. Ma non dipende solo da noi: non credo che stare con Le Pen sia un limite per governare". Se ne parlerà alla riunione del gruppo di europarlamentari con Salvini prevista martedì prossimo, il 13 ottobre. Dove al tavolo dei relatori siederanno fianco a fianco il Capitano e Giorgetti: un segnale, anche quello. Ma non è solo l’ex sottosegretario di Palazzo Chigi ad avere avvisato pubblicamente che a comandare, in Europa, oggi è il Ppe, e che se la Lega non si sposterà verso il centro rischia di "venire annientata". Stasera a Roma il governatore ligure Giovanni Toti e l’ex ministra Mara Carfagna riuniranno in un ristorante del centro una quindicina di azzurri o ex tali interessati a "dire qualcosa di centro".

Attesi Andrea Cangini, Paolo Russo, Daniela Ruffino, Paolo Romani, Osvaldo Napoli. "L’idea è avviare un percorso di dialogo per capire gli spazi di una futura forza di centro" spiega quest’ultimo. Eppure, Maria Stella Gelimini vi ha risposto che una forza centrista, moderata e liberale esiste già: Forza Italia. "Mi auguro che Forza Italia abbia uno scatto d’orgoglio – non si scompone Napoli – Ma sono sincero: mi sembra difficile invertire il trend negativo. Serve una sintesi diversa che raccolga il centro". Altri sono più drastici: "Se Fi prende il 6% al Sud, al Nord è al 2%. Vuol dire che il dato nazionale si attesta sul 4%. Si sta consumando. Purtroppo non è più un brand". E tanti, dal Piemonte alla Calabria, abbandonano la nave che imbarca acqua. Già: ma per andare dove?

E’ indubbio che nel centrodestra, nell’ultimo anno, sia in corso una riflessione sui limiti dell’"area sovranista" che le Regionali di settembre hanno esacerbato. Giorgia meloni, tranne quando fa i comizi, studia da neo-moderata. Luca Zaia è considerato dagli ammiratori il "leghista democristiano", mentre Toti gli fa da contraltare come "democristiano para-leghista". E Giorgetti in questo quadro? "La sua partita è quella di ammorbidire la linea di Salvini – racconta un parlamentare - Il problema è che Giancarlo è sempre stato un numero due, non è abituato al conflitto". D’altra parte, c’è tempo. I giochi si riapriranno soltanto nel 2021 con le Comunali. A quel punto, il "percorso di dialogo" potrebbe aver fatto passi avanti. E Zaia, Giorgetti, Massimo Garavaglia, restano il sogno proibito.

FEDERICA FANTOZZI