Domenica 18 ottobre i boliviani saranno chiamati alle urne per rinnovare il parlamento ed eleggere il nuovo presidente della Repubblica, che metterà fine al lungo periodo di presidenza interina di Jeanine Áñez subentrata a Evo Morales al Palacio Quemado dopo l’annullamento delle elezioni dello scorso anno per brogli. Dopo il ritiro dalla competizione della stessa Áñez, la cui candidatura non aveva mai sfondato relegandola stabilmente al quarto posto nei sondaggi, in corsa rimangono sette candidati, di cui solo tre hanno qualche speranza di portare a casa un risultato significativo. Il ritiro della presidente provvisoria, dovuto anche alle critiche che hanno investito il suo governo accusato di aver commesso errori e di esser stato al centro di casi di corruzione in occasione della gestione della lotta al coronavirus, ha in qualche modo cambiato le forze in campo, portando i commentatori politici a ritenere quasi certo un ballottaggio tra Luis Arce, candidato del Movimiento al Socialismo ed ex ministro dell’economia di Evo Morales, e Carlos Mesa, ex presidente della repubblica e capo di Comunidad Ciudadana, una formazione di centro sinistra. Pare tramontare così la speranza del Movimiento al Socialismo di passare al primo turno grazie alla legge elettorale che assegna la vittoria al candidato che ottiene il 40 per cento dei voti e una distanza di dieci punti percentuali dal suo avversario. Il nuovo sondaggio Ipsos pubblicato a La Paz, tenuto anche conto che coloro che non si sono espressi o che voteranno bianco o nullo sommano al 19,4 per cento, valuta Mesa al 27,9 per cento e vincitore del ballottaggio del 15 novembre contro Arce, attualmente al 34 per cento. Nessuna possibilità è invece data a Luis Fernando Camacho, il giovane imprenditore che ha guidato la rivolta popolare contro Morales dalla sua Santa Cruz, che dovrebbe accontentarsi del 13,8 per cento del voto e dei seggi parlamentari che potrà ottenere il 18 ottobre. Raccolgono infine percentuali trascurabili Chi Hyun Chung (2,6 per cento), Jorge Tuto Quiroga (1,6 per cento), e Feliciano Mamani (0,2 per cento). L’aspetto interessante che emerge dal sondaggio è che Mesa risulterebbe ampiamente in vantaggio nelle zone urbane, mentre al contrario Arce farebbe il pieno dei voti rurali, dove risiedono in gran parte gli elettori di origine indigena. I boliviani saranno chiamati alle urne per rinnovare il parlamento ed eleggere il nuovo presidente Ciò descrive bene le differenze tra le due candidature che riflettono la profonda spaccatura esistente nel Paese tra le forze che fanno della questione indigena il loro perno, e quelle che con vari accenti e sfumature auspicherebbero un ritorno al passato precedente Morales. Dimenticando forse entrambe che la questione sul tappeto sono i problemi che l’epopea di Evo ha lasciato sul terreno, dall’estesa corruzione, al suo volersi riproporre al potere anche contro la volontà espressa dal referendum del 2016. Per finire con un’economia basata sull’estrazione delle materie prime da esportare, che ha garantito in passato risorse finanziarie utili alle infrastrutture, ma ha ingrassato la corruzione e condannato il Paese a devastare il suo territorio e a continuare ad occupare il gradino più basso dello scambio - ineguale - mondiale. Arce e Mesa, entrambi incapaci di dare una risposta che faccia i conti con il recente passato, spiegano la gran massa degli indecisi che non vorrebbe tornare a Evo, ma nemmeno vuole tornare all’epoca che lo ha preceduto. Il primo, personaggio scialbo e considerato un burocrate, si ostina a porsi sulla scia di Morales, nonostante il chiaro esaurirsi dell’esperienza "evista" e i distinguo del suo candidato vice presidente, quel David Choquehuanca che Evo aveva alla fine messo in disparte, e che è stato ripescato per assicurare al MAS il voto indigeno che difficilmente sarebbe andato a Arce. Carlos Mesa, la cui preoccupazione in questa campagna elettorale è stata quella di evitare un ritorno all’epoca di Morales, con i suoi appelli al voto utile per sventare il pericolo, ma senza una capacità di indirizzare il suo discorso al di là del suo elettorato di riferimento, aprendo alla popolazione indigena con un’idea chiara di transizione che tuteli le conquiste ottenute. Quanto all’esito del probabile ballottaggio, secondo il sondaggio Mesa vincerà con il 45 per cento del voto popolare contro il 40 di Arce. Se invece fosse Camacho ad andare al secondo
turno, ipotesi comunque alquanto remota, Arce vincerebbe con il 44 per cento dei voti contro il 36 del leader civico. La rilevazione è stata fatta tra fine settembre e i primi giorni di ottobre, e non ha potuto quindi registrare gli effetti sull’elettorato delle recenti accuse mosse a Luis Arce di aver avuto movimenti sospetti nei suoi conti correnti quando era ministro dell’economia che farebbero pensare a casi di corruzione. Un’accusa che ha coinvolto anche moglie e figli, respinta da Arce che l’ha definita un ennesimo episodio della guerra sporca che vedrebbe al centro il MAS e i suoi esponenti, a cominciare da Evo Morales, accusato di vari reati, tra cui l’istigamento alla sedizione e lo stupro di ragazze minorenni. Il tutto in un’atmosfera di scontro senza risparmio di colpi, con accuse reciproche da parte degli opposti schieramenti che hanno spinto giorni fa Nazioni Unite, Unione Europea e Chiesa Cattolica a chiedere il rispetto delle regole democratiche e il bando di ogni violenza.

CLAUDIO MADRICARDO