Fermi tutti: non abbiamo più un’autostrada. Il che era vero anche a luglio, quando i 5 stelle celebrarono "la cacciata" dei Benetton da Autostrade al grido di "torna agli italiani ciò che era sempre stato loro". Ma al netto della propaganda grillina, che non considerava il fatto che un conto è la nazionalizzazione e un altro è conferire alla Cassa depositi e prestiti il ruolo di azionista di maggioranza, i festeggiamenti potevano comunque svolgersi con lo striscione delle Autostrade in mano allo Stato.

Tre mesi dopo, l’offerta inviata dalla Cassa ad Atlantia (la società controllata dai Benetton che ha messo in vendita la sua quota di comando dentro Autostrade) dice che no, non avremo un’autostrada. Avremo un pezzetto di autostrada, mentre la maggioranza sarà di americani, australiani, cinesi, tedeschi e francesi. Quello che si appresta a essere l’esito di una partita infinita e nervosa, con un numero sterminato di lettere, schemi di accordo, ultimatum, ripensamenti e cambi di strategia lungo l’asse Governo-Benetton, non è un tema da tifo tricolore. Ma di gestione di un asset strategico per il Paese, qualcosa come 3.020 chilometri di rete autostradale, una delle più grandi d’Europa.

Qualcosa che vale intorno ai 10 miliardi. E, su un livello che esula da quello economico-finanziario, una rete su cui transitano ogni giorno cinque milioni di viaggiatori per spostarsi lungo il Paese. Autostrade è l’Italia come ricorda la costituzione della società Autostrade concessioni e costruzioni Spa nel 1950. Fu costituita dall’Iri per partecipare alla ricostruzione post bellica dell’Italia insieme ad altri gruppi industriali. Autostrade è l’Italia ed è anche i Benetton, che entrarono nella cabina di comando nel 1999, quando venne inaugurata la stagione della privatizzazione. E ora, come si diceva, sarà in maggioranza in mano agli stranieri.

Meglio: ai fondi stranieri. I fondi, che hanno la massimizzazione del profitto come target esistenziale, capaci di passare da un affare a un altro o di essere presenti su più tavoli nello stesso momento e allo stesso tempo di migrare su altri quando l’affare non è più conveniente. In due parole: sono investitori aggressivi, dove aggressivo non è una caratterizzazione negativa di per sé, ma solo la spiegazione del dna di un modo di fare business. Non che i gruppi, le società tradizionali, i soggetti insomma diversi dai fondi non abbiano a cuore i quattrini e i dividendi, ma i fondi sono più volubili, meno frequentemente soci di lungo periodo.

Lo schema di gioco per l’acquisto dell′88% di Autostrade vede la Cassa affiancata dal fondo americano Blackstone e da quello australiano Macquarie. Il veicolo che permetterà ai tre acquirenti di comprare l′88% vedrà Cdp guidare la pattuglia con una fetta che presumibilmente sarà fissata al 40%, il restante 60% sarà in mano a Blackstone e Macquarie. È vero che ognuno dei due fondi avrà il 30%, è vero anche che la Cassa sarà il primo azionista (esprimerà il presidente e l’amministratore delegato), ma è altrettanto vero che la stessa Cdp non avrà la maggioranza. E tra l’altro le Fondazioni, che della Cassa sono azionisti e azionisti che contano, hanno sì dato il via libera allo schema di gioco, ma hanno messo ben in chiaro che l’impegno deve essere circoscritto. Insomma alla fine quel 40% potrebbe risultare addirittura inferiore.

E poi ci sono altri fondi. Perché l′88% di Autostrade è in vendita, mentre il 12% è nelle mani dei tedeschi di Allianz, dei francesi di Edf e dei cinesi di Silk Road. Quando si metteranno tutti insieme, la quota di Cdp sarà ulteriormente diluita. Una ciambella di salvataggio, in chiave italiana, potrebbe arrivare da qualche investitore (nell’offerta di Cdp si sottolinea che "è consentito l’ingresso di altri investitori istituzionali, in particolare italiani"), ma comunque le cose non cambierebbero di tanto. E sicuramente non alzerà la quota di Cdp, che è l’ariete voluto dal Governo per entrare dentro Autostrade. Lo schema festeggiato dal Governo a metà luglio prevedeva un ingresso della Cassa, con una quota del 33%, affiancata da investitori graditi e "istituzionali". Tutti insieme avrebbero avuto il 55% e allora sì che le autostrade, per dirla con lo slogan dei 5 stelle, sarebbero state nostre. O quantomeno così si poteva dire, senza appigliarsi ai dettagli che eppure sono totem quando si parla di economia e di assetti finanziari.

Ora invece si va verso una nuova Autostrade, con la maggioranza in mano ai fondi stranieri. E bisogna pure pagare i Benetton. Perché lo schema festeggiato è saltato e si è passati alla vendita. Quindi un prezzo, quindi un incasso per chi vende. Vende Atlantia, i Benetton hanno il 30% di Atlantia. Atlantia incassa, i proventi vengono distribuiti tra i soci. Pagare "i colpevoli" del crollo del ponte Morandi, usando sempre il mantra 5 stelle, per una Autostrade che non sarà neppure degli italiani.