Mi sono messo l’anima in pace e mi sono detto che la pandemia continuerá per molti anni. La seconda ondata, che batte forte in questi giorni in Europa e in America, ne é la conferma. Quindi accettiamo il futuro che ci aspetta e mettiamoci a lavorare. Il coronavirus segna un cambio epocale, qualsiasi sia la sua estensione, perché le conseguenze sul lavoro giá sono presenti e resteranno, anche dopo una eventuale scomparsa del virus. Ma lavorare in cosa? Infatti una delle principali conseguenza di questa realtá mondiale, é che bastona proprio il lavoro. La disoccupazione comincia a dilagare in quei lavori, cosí comuni solo pochi anni fa. Quindi il mio consiglio non puó essere altro che quello di dire: prepariamoci per il lavoro del "giorno dopo", anche se penso che giá stiamo vivendo - senza accorgercene - il "dopo". Quella che consideravamo una "emergenza sanitaria", si é trasformata in uno stato di quotidianitá, da cui per ora non se ne esce e quanto ne usciremo, saremo "altri" anche sul lavoro. La pandemia va distruggendo inesorabilmente molte occupazioni: basta solo pensare al turismo, i viaggi in aereo per scoprire nuove terre, le crociere nei posti piú esotici. Quindi sconsiglierei vivamente la formazione in turismo o altre attivitá che sono l’indotto del turismo (ricordi di viaggio, affitto di auto e case, vendite ambulanti per stranieri disposti a spendere poco). Ma la caduta del turismo impatta anche su altri indotti: la costruzione di aerei, navi, alberghi. E dietro al turismo, altre attivitá perderanno piede: penso alla ristorazione, lo svago, gli eventi internazionali come fiere e simposi, le celebri maratone nelle grandi cittá, e le vendite al dettaglio. Anche la moda entrerá in crisi, perché vi sará meno necessitá di ostentare la nostra presenza in giro per il mondo. Ma torniamo al lavoro del "dopo".

Immagino tre scenari per il lavoro della "normalitá pandemica".

Il primo scenario é il migliore: é quello della alta tecnología. Non ci saranno problemi per gli analisti di dati, per esperti e sviluppatori di software e applicazioni, per gli specialisti del "networking" e l’intelligenza artificiale; per i disegnatori e produttori di macchine della nuova intelligenza, robots e stampanti 3D; e naturalmente per gli esperti in e-commerce.

Il secondo scenario invece é il peggiore e si riferisce ai lavori che andranno scomparendo rapidamente. Penso al lavoro d’ufficio (segretarie, amministrativi, piccoli capouffici), il trasporto e la logística; ampie fasce del lavoro delle industrie manufatturiere.

La terza fascia si riferirá a quei lavori - non i migliori - che continueranno ad richiedere prestazioni personali: penso a parte della agricoltura (quella ancora non occupata dai robots), alla alimentazione, alla sanitá e all’assistenza sociale, alla attenzione di bambini e di anziani, al lavoro di consegna (dalle merci all’alimentazione), alla pulizia e la sicurezza pubblica e privata. Naturalmente in questa terza fascia saper lavorare anche a distanza aiuta nella ricerca del lavoro: quindi essere un paramedico o una badante che sa gestirsi con telefonino e applicazioni permetterá ottener con maggiore rapiditá un lavoro. In questa terza fascia, i lavori saranno piuttosto "poveri", aiuteranno a sopravvivere quel giusto necessario, ma niente eccessi come nel passato. Bisognerá costruire a livello pubblico - e specialmente nelle nostre universitá - una mappatura del lavoro del "dopo" e sviluppare politiche di rapida formazione e reciclaggio per i nuovi posti di lavoro, se vogliamo continuare a vivere con dignitá nella quodianitá a rischio della pandemia.

E attenzione perché c’é anche l’effetto Roomba. Sapete cos’é il Roomba? E’ quel piccolo apparecchietto che sembra un disco volante e permette pulire le abitazioni senza necessitá di una persona addetta alla pulizia. Cosa voglio dire? Le tecnologie - penso ai computer, le applicazioni i software hanno consentito a molti di noi di continuare a lavorare e sorreggere cosí l’economía dei nostri paesi. Il pericolo peró - dice l’economista di Princeton Marjus Brunnermeier - é che una volta finita la crisi, i robot continueranno a sostituire i lavoratori, E’ il denominato "effetto Roomba": con la pandemia, le famiglie licenziano le persone che si occupano delle pulizie domestiche per timore del contagio e ordinano un robot Roomba. Finito il lockdown, il robot rimane e chi faceva le pulizie o perde il posto o lavora meno ore. Infatti non bisogna dimenticare che i robots non contraggono il coronavirus e possono continuare a lavorare, mentre l’umanitá si ammala. Attenzione dunque: come ammonisce il giornale "El País di Madrid" i robots e noi - gli esseri umani - ci spartiremo nel 2025 al 50% la totalitá dei posti di lavori. Prepararsi per lavorare per il "dopo" non é quindi un scherzo: é una necessitá per sopravvivere.

JUAN RASO