"Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà".

Nell'oscurità e nella paura è spontaneo rivolgersi ai maestri per cercare in loro consigli e con loro la via d'uscita. È con questo spirito che ho pensato di richiamare il discorso che Aldo Moro pronunciò il 28 febbraio 1978 ai gruppi della Democrazia Cristiana di Camera e Senato, pochi giorni prima del suo rapimento per mano delle Brigate Rosse.

In quel lungo intervento, oltre all'invito alla responsabilità, Moro fotografò la drammaticità di quei giorni: il Paese piagato dalla follia terroristica, il tessuto istituzionale della Repubblica crepato da incertezze e sfiducia, il potere esecutivo agganciato a governi traballanti. Ma fece anche qualcosa d'altro e di più importante. Raccolse idee, formulò proposte e soprattutto indicò il metodo politico da seguire: "Siamo dinanzi a interrogativi angosciosi", aggiunse, "ai quali si deve rispondere con un profondo esame di coscienza".

Questo metodo lo propose non solo ai partiti di opposizione, ma anche e soprattutto a quelli di governo, e dunque proprio al suo partito. E lo indicò non tanto come pratica spirituale, ma come modo di operare nella contingenza politica.

Ecco, di fronte alle angosce dei giorni nostri, profonde e ugualmente buie come quelle degli "anni di piombo", questo è quello che dovrebbero fare tutte le forze politiche, le figure istituzionali, i singoli parlamentari e chi, da fuori, orienta la politica nei palazzi. Un profondo esame di coscienza, come a quel tempo chiedeva Moro, oggi lo potrebbe domandare il presidente della Repubblica che, in queste ore, ha promosso incontri e mediazioni.

L'esame di coscienza, però, riportato alla politica, è qualcosa di più di una mediazione. È rinuncia e trasformazione, anzi rinnovamento. Se davvero si vuole perseguire il bene del Paese, se davvero è questo quel che sta a cuore, non basta invocare un tavolo di confronto in Parlamento, come invece fa il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Il rinnovamento impone alle forze di maggioranza di porre in discussione i loro programmi fino a mettere sul tavolo le dimissioni del Governo. Solo in questo modo l'esame di coscienza diventerebbe credibile e tutti gli attori si potrebbero riconoscere in un nuovo progetto unitario. Anche i partiti d'opposizione, però, devono essere disposti a sporcarsi le mani con decisioni impopolari sul fronte sia delle limitazioni delle libertà individuali, sia su quello economico e dei conti pubblici. Nessuno può rimanere fermo sulle proprie posizioni, tutte le forze devono mettere in discussione qualcosa, persino qualche bandiera ideologica, perché è così che il bene per il Paese può prendere corpo, uscire dalla fumosità delle parole e diventare azione concreta.

Certo, un'ipotesi di questo genere porterebbe con sé la necessità di risolvere la crisi di governo in tempi rapidissimi, con soluzioni "confezionate" prima della sua apertura, per poi avviare un percorso di unità limitato nel tempo e andare alle urne nella tarda primavera del prossimo anno, prima dell'inizio del "semestre bianco". E al Governo di unità quell'ipotesi imporrebbe anche di varare una nuova legge elettorale per consentire di adeguare il sistema della rappresentanza alla riduzione del numero dei parlamentari.

Con un'attenta guida, Sergio Mattarella potrebbe riuscire nell'impresa: è il solo, oggi, che può chiedere e forse pretendere l'esame di coscienza politico da tutte le forze e disegnare uno scenario di governo che guardi davvero al bene del Paese. Nell'anno domini 1978 poi arrivò il 16 marzo, giorno funesto, colmo di morte, e con esso arrivò la più lunga notte della Repubblica. L'esame di coscienza non venne fatto, né prima, né dopo, perché nessuno raccolse con convinzione e tenacia l'indicazione del presidente Moro. E oggi?

di Alessandro Giovannini