di James Hansen

Stiamo vivendo un momento storico? Probabilmente sì, anche se è interessante notare quanto il ricordo di altre pandemie certamente paragonabili a quella attuale—come “la Spagnola” del 1918-20—fosse sbiadito prima che la circostanza attuale ci obbligasse a tirarlo fuori dal dimenticatoio.

Non siamo bravi a giudicare l’importanza storica degli avvenimenti che ci toccano. In parte, è una questione di inflazione linguistica: ogni nastro tagliato dal Sindaco è un evento che entra nella storia per un ufficio stampa. In questi giorni abbiamo assistito a un “momento storico”—secondo i partecipanti—consistito nell’apertura di nuovi piazzali del porto commerciale di Gaeta.

Gli incontri altrettanto “storici” si sprecano. Quello di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II del 1860 è stato impresso a forza nelle menti di generazioni di scolari italiani e ha certamente la sua importanza, ma il più recente incontro ad essere così etichettato dalla stampa nazionale—quello di quest’estate tra il Presidente Mattarella e il Presidente sloveno Pahor—molto probabilmente non avrà lo stesso destino.

Il filosofo tedesco Hegel, due secoli fa, ebbe da osservare che “la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”, una maniera estremamente contorta per dire che la comprensione di un’epoca si può avere soltanto dopo la sua conclusione. Così, gli elementi che compongono la Storia emergono solo quando sono definitivamente passati.

Alcuni eventi subito riconosciuti come di svolta—la formulazione di Einstein della teoria della relatività, l’arrivo dell’uomo sulla Luna, l’attacco alle Torri Gemelle, la descrizione della struttura del DNA—sono ancora, dopo decenni, considerati di primaria importanza. Altri che alla loro epoca parevano molto significativi sono invece scomparsi nella nebbia dei tempi.
Non è solo un gioco intellettuale. La capacità di decidere dipende in non poca parte dall’abilità di capire cos’è importante e cosa invece non lo è. Giornalisti, politici ed esperti di vario tipo sono lesti a definire ciò che è storico. Sfortunatamente, non sembra siano sempre molto abili a farlo.

Uno studio, “Predicting History”, condotto da ricercatori Microsoft in collaborazione con il Dipartimento di Storia della Columbia University, ha impiegato le tecniche di data mining per esaminare quasi due milioni di cablogrammi della diplomazia americana trasmessi nel periodo 1973-1979 e recentemente desecretati. Lo scopo era quello di vedere quanto fossero stati abili i diplomatici Usa nel giudicare l’importanza dei fatti che riferivano al Dipartimento di Stato a Washington.

Il verdetto dei ricercatori è chiaro quanto sconsolante: “Concludiamo che l’eventuale significato storico degli avvenimenti sia estremamente difficile da prevedere”. Gli studiosi ritengono che la tecnica che hanno applicato possa, al massimo, servire per lo sviluppo di “archivisti artificiali” in grado di identificare i documenti “potenzialmente” storici da conservare.

La lezione è semplice. Al giorno d’oggi disponiamo di più informazioni che in qualsiasi altra epoca passata—e non capiamo molto di più dell’avvenire ora rispetto a quanto i nostri antenati comprendessero ai loro tempi. Alla fine saranno gli storici del futuro a decidere se stiamo vivendo uno straordinario episodio di isterismo collettivo o una terribile tragedia globale—o forse tutt’e due.