"Se il governo riesce a superare questa fase arriviamo al 2050". A riferirlo è la solita "voce di dentro" della maggioranza giallorossa. Un modo colorito, questo, per descrivere, in maniera simbolica, la corsa ad ostacoli che attende il premier Giuseppe Conte, il prossimo 9 dicembre, con il voto sulla risoluzione sul Mes in Parlamento. Sarà quello, infatti, il primo, fondamentale banco di prova del governo Pd-5Stelle. Un banco su cui pesa (e non poco) l'ombra del "no" dei ribelli grillini. Qualora, infatti, la riforma del fondo salvastati, così com'è stata partorita dall'Eurogruppo, dovesse incassare una sonora bocciatura dall'Aula, per il "Conte bis" potrebbe anche essere l'inizio della fine. Tuttavia, numeri alla mano, non tutto sembra già scritto. Per capirci, al Senato la maggioranza oscilla tra 166 e 168, con l'incognita di Forza Italia dove più di un parlamentare potrebbe disobbedire all'ordine di scuderia del "no" al prestito Ue per la sanità, lanciato dal Cav e sganciarsi dall'asse Lega-Fratelli d'Italia (ha già assicurato il suo sì alla riforma il senatore azzurro Andrea Cangini). Lo stesso vale per i tre parlamentari Udc a palazzo Madama Antonio De Poli, Paola Binetti e Antonio Saccone i quali si sono già espressi a favore della riforma, pur ribadendo il loro no convinto al Governo. Insomma: un aiuto insperato dai cespugli del centrodestra. Quanto alla maggioranza, ormai è certo: le defezioni grilline ci saranno. Perché in tanti, nonostante gli inviti di Luigi Di Maio e Vito Crimi a non abbandonare "Conte sul patibolo", hanno già detto che non voteranno la risoluzione. Eppure assicurano i soliti beninformati di dentro, le defezioni annunciate non saranno così numerose. Questo perché il Movimento, per placare l'ira dei dissidenti, avrebbe mirato a mettere nero su bianco - con buona pace di Pd e Iv che ovviamente non sono d'accordo - il "no" all'attivazione del Mes, al di là dell'approvazione o meno della riforma così com'è stata elaborata a Bruxelles. E forse proprio per questo, più che al voto contrario, i frondisti si appelleranno all'escamotage dell'assenza. Tutto questo senza considerare che ai piani alti del Movimento, la pazienza dei "reggenti" è giunta al limite. "Quando si dice che mercoledì non è in ballo il governo Conte, quando si dice che si può andare in sede europea a obbligare a fermare tutti, che su questo argomento non c'è stato confronto, è tutto inutile", rivela una fonte parlamentare grillina di primo piano, citata da TgCom. Sul banco degli imputati, in ogni caso, sembrano essere finiti, in particolare, i senatori Nicola Morra, Orietta Vanin, Bianca Laura Granato e Barbara Lezzi, oltre ai "frondisti" di Montecitorio, con in testa Maniero e Raduzzi. L'impressione è che, chi mercoledì dovesse votare contro, un minuto dopo sarà fuori dal M5S. "Ma state tranquilli. Non succederà niente. I grillini hanno troppa paura di andare a votare per far cadere Conte sul Mes. Dunque fortunatamente i voti ci saranno, sia alla Camera che al Senato. Quella di queste ore è solo melina scenografica" si è limitato a commentare, ironico, il leader di Iv Matteo Renzi. Posizione, la sua, condivisa anche negli ambienti dem.