Nuovo giro di valzer a Palazzo Chigi, dove il premier Giuseppe Conte torna a ricevere i rappresentanti dei gruppi politici che compongono la sua maggioranza. Era già accaduto il 5 novembre scorso, quando il premier aveva ricevuto i capidelegazione di Pd, M5S e Leu, ma non quelli di Italia Viva che avevano disertato l'incontro, adducendo motivi di tipo istituzionali (un incontro dei ministri Ue all'Agricoltura cui avrebbe dovuto partecipare anche la renziana Teresa Bellanova). Ora il capo dell'esecutivo ci riprova, nel tentativo, finora riuscito a metà, di incollare i cocci di una squadra, quella giallorossa, che dopo le bordate renziane a ripetizione, "sparate" sulla "cabina di regia" messa in campo per la gestione dei fondi legati ai progetti del Recovery fund ("cabina" che proprio non piace a Iv) e la mancata attivazione del Mes, appare, di ora in ora, sempre più fragile. Oggi dunque, si riparte con quelle che da più parti sono state etichettate come "consultazioni". Sul tavolo, manco a dirlo, la discussione sul maxiprestito messo a punto a Bruxelles, per il rilancio delle economie dei paesi membri, messi in ginocchio dalla crisi scatenata dalla pandemia. Nel pomeriggio, insieme ai ministri Gualtieri e Amendola, Conte riceverà le delegazioni di M5s e Pd (i primi due incontri in calendario). Poi domani toccherà, appunto, a Iv e Leu con i renziani che fin dalla vigilia hanno già lasciato intendere che nel "faccia a faccia" che terranno col presidente del Consiglio, non saranno tutte rose e viole. "Noi siamo in attesa di una risposta da parte di Conte. Chiediamo che ci sia una svolta ma i tempi non siamo noi a dettarli bensì l’emergenza che ci chiede risposte concrete sui vaccini, sulla crisi economica, sulla riapertura delle scuole, sui progetti del Recovery plan" ci ha tenuto a precisare la ministra per la Famiglia Elena Bonetti in un'intervista al Corriere della Sera. "Quella che abbiamo chiesto - ha rimarcato ancora la ministra - non è certo una verifica arzigogolata. Vogliamo che su tutti quei temi ci sitano risposte concrete e veloci, che ci sia un’assunzione di responsabilità da parte di tutti e al servizio del Paese". Di fronte al nodo dei super manager (o "cabina di regia" che dir si voglia) che il premier vorrebbe per la governance sul Recovery plan, "l'unico metodo possibile - è il pensiero della Bonetti - è coinvolgere tutto il Paese in modo trasparente, con le sue strutture democratiche e nella sua collegialità. Non certo delegare tutto a una struttura tecnica, che non si sa bene a chi risponda". Nel caso in cui il tema dei supermanager dovesse entrare nel maxi emendamento che il governo presenterà alla Camera sulla manovra, l'esponente del governo è apparsa lapidaria: "Matteo Renzi è stato chiarissimo. Se così fosse noi la manovra non la votiamo". Il no arriverebbe anche in caso di mozione di fiducia. "La cosa non cambia, non ne facciamo una questione di esercizio del potere ma di cambiamento del Paese. Per questo io e Teresa Bellanova restiamo pronte al passo indietro. Io però sono fiduciosa: non credo che il presidente arriverà a forzare la mano facendo saltare la legge di bilancio". In merito a un possibile ritorno al voto, infine, la ministra ha poi chiarito che "nessuno può decidere oggi, la guida spetta al presidente della Repubblica. Quanto all'ipotesi del voto, certo, Italia viva sarebbe pronta", sottolineando che anche sull'idea di un governo Draghi "sarebbe comunque il Parlamento a dover dare una risposta". Secca e immediata la risposta di marca Pd, affidata al ministro della Cultura e plenipotenziario Dem Dario Franceschini. "L'incontro del 5 novembre tra i leader dei partiti di maggioranza del Conte II era terminato con l'impegno a "lavorare tutti insieme avendo come orizzonte la fine della legislatura nel 2023. E allora, se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo" ha ribadito (anche lui al Corsera) l'esponente del Nazareno il quale, a proposito di Renzi, ha poi sbottato: "a lui non frega niente del Conte 3 o del Draghi 1": se si aprisse la crisi, l'ex premier si porrebbe al crocevia di ogni scenario e farebbe "ballare tutti" tanto che il sistema "finirebbe nel pantano. Sarebbe allora preferibile andare alle urne con l’attuale sistema di voto", prevedendo una coalizione composta da 5Stelle, Pd, una lista di sinistra e una lista Conte", con i renziani fuori dai giochi, "perché chi ha provocato la crisi poi non potrebbe pensare di stare con noi". Per Franceschini Conte "ha ancora una certa presa sull'opinione pubblica, si presenterebbe come la vittima di un complotto di Palazzo e potrebbe conquistare voti al centro, senza prenderne al Pd e a M5S". Per questo motivo, ha aggiunto ancora il ministro della Cultura "andrebbe sfruttato il suo valore aggiunto, perché potrebbe vincere". Per l'esponente dem, una sfida alle urne "numericamente sarebbe una sfida bilanciata con il centrodestra. E poi Conte è nato con la camicia". Franceschini ha infine ribadito che "la verifica non è il rimpasto. Serve piuttosto a stabilire una linea politica, ad aggiornare il programma", mentre un puro rimpasto "teoricamente si potrebbe anche fare, ma poi non cambierebbe nulla, non avremmo la stabilità. Perciò la scelta non è tra un miglioramento della situazione e le elezioni. Ma tra un peggioramento della situazione e le elezioni". Quindi, è la conclusione: "in caso di crisi, sarebbe opportuno prendere la strada più lineare". A dir poco laconico il commento dell'opposizione, affidato al leader del Carroccio Matteo Salvini: "Spero che il governo tolga il disturbo il prima possibile. Le vie sono due, elezioni o governo a guida centrodestra" ha detto l'ex vicepremier.