Di Francesca Porpiglia

 

Questo fine settimana segna esattamente un anno dal primo blocco in Italia. Le chiusure applicate all’inizio sono state rese obbligatorie solo in alcune regioni (Lombardia ed Emilia-Romagna), e in settori specifici (le scuole). Quelle misure, tuttavia, di limitazione della circolazione e i divieti di uscita  hanno scioccato i cittadini. Il paese aveva registrato solo 152 casi e tre decessi per Covid-19, quindi la chiusura totale, sembrava essere una reazione eccessiva. Eppure, quel blocco totale tutto italiano all’ inizio della pandemia, ha salvato molte vite ed e’ stato rapidamente imitato da altri paesi Europei. Belgio, Germania, Spagna Portogallo, con tre settimane di ritardo rispetto al Belpaese, attanagliati da morti e con ospedali pieni, hanno precipitosamente applicato il lockdown all’italiana. Un momento surreale, in cui, per giorni, e’stata vietata la circolazione in Europa, ripristinati i controlli alle frontiere, e i cieli sono tornati silenziosi e calmi. Nessun aereo per giorni e giorni ha collegato citta’e paesi. Il mondo si e’ fermato. Ma facciamo un passo indietro ripercorrendo quelle prime chiusure italiane all’inizio della pandemia. Dopo i primi divieti, le chiusure sono diventate più draconiane. Entro il 4 marzo 2020 tutte le scuole in Italia erano chiuse; una settimana dopo l'intero paese è stato completamente bloccato. Al 12 marzo si era registrato un dato intollerabile: 1.000 morti (allora sembrava un terribile punto di riferimento) ma solo dopo quattro giorni sono stati  abbiamo superati 2.000. La maggior parte degli altri paesi europei festeggiava  in un momento in cui in Italia si viveva prigionieri nelle case, guardando le scene di un film apocalittico al telegiornale: medici in tute ignifughe, reparti ospedalieri pieni di cappe di ossigeno e obitori così pieni di bare che si chiamava l'esercito.  

Mentre in altri paesi si era scettici nel seguire le linee guida, l'Italia in un momento difficile ha dimostrato chiarezza legislativa e aderenza sociale.

In quelle spaventose prime settimane, si cantava insieme, le famiglia si riunivano dalle proprie finestre e balconi. Violinisti e chitarristi virtuosi hanno trasformato i loro balconi in palcoscenici e, cosa più memorabile, due ragazze hanno giocato a tennis tra i rispettivi tetti di Genova. Ci si e’ inventati di tutto per trascorrere quel periodo in maniera normale.

E nonostante il dolore, della morte dei piu’ deboli, nonostante la segregazione in casa e la difficolta ad adattarsi,  succedeva qualcosa di straordinario: I canali di Venezia finalmente trasparenti e puliti delfini che nuotavano indisturbati nei porti inattivi da mesi. Lepri e cervi passeggiavano nei parchi pubblici e nei campi da golf.  L 'aria inquinata della pianura padana si schiariva e si dissolvevano tante polveri sottili. Le citta’, private di clacson e macchine, si sono svuotate e sembravano deserte le strade.  

Fu un periodo che cambiò non solo il modo in cui gli estranei percepivano l'Italia, ma anche il modo in cui gli italiani si vedevano. Sono spesso stereotipati (da loro stessi quanto dagli stranieri) come una nazione di trasgressori, desiderosi di aggirare il bene pubblico per guadagno privato. Ma per tutta quella primavera il paese fu ordinato e obbediente.  

 La nota piu’ bella e’stata certamente l’aumento della solidarietà. Generata dalla crescente consapevolezza della vulnerabilità dei più deboli nella società, sono state create associazioni di volontariato, enti di beneficenza e banchi alimentari informali per proteggerli.

A Brescia, una delle città più colpite da Covid, un italo-palestinese, Yas, ha creato Cibo Per Tutti (Food for All), che distribuisce fino a 450 pacchi alimentari ogni settimana. È un'esperienza che ha cambiato il tessuto sociale della città. "Il virus ci stava isolando", dice una donna, "e c'era un bisogno, un bisogno fisico, di essere una comunità. Il cibo è diventato un modo fondamentale per farlo ".

Ci sono stati altri cambiamenti impercettibili ed importanti. Aspettiamo ancora dati ufficiali, eppure sembra che il telelavoro abbia riportato a casa molti cervelli in fuga. Dal 2006 sono emigrati 2,4 milioni di italiani, molti dei quali giovani e altamente qualificati, il che significa che il 9% della popolazione italiana ora vive all'estero. Ma negli ultimi 12 mesi quella fuga di cervelli è stata invertita. Non ci sono dati attendibili su quanti giovani italiani siano tornati, approfittando di poter lavorare fuori dall'ufficio eppure tante sono le storie di giovani che sono rientrati da Amsterdam, Londra, Parigi.

Questo cambiamento demografico sta avvenendo anche internamente. Il lavoro a distanza, unito agli incentivi fiscali, ha permesso a molti meridionali di tornare a casa dalle città industriali del nord (è stato chiamato, piuttosto goffamente, "lavoro del sud"). E poiché tanti italiani hanno seconde case, alcuni hanno deciso di tenere a bada la pandemia in campagna. Tutti questi cambiamenti significano che alcune città e villaggi svuotati vengono, forse solo temporaneamente, ripopolati e rinvigoriti.

Un anno di cambiamenti che hanno lasciato il segno nel corpo e nella mente di tanti italiani. Oggi si guarda alla campagna di vaccinazioni e con Draghi Presidente del Consiglio si spera in una rinascita. Ma quando si ritornera’ alla normalita? Una domanda a cui ancora non riusciamo a rispondere.