di Marco Ferrari

Ancora oggi il controverso rapporto tra Sud America e Germania nazista è un terreno di ricerca degli storici. In Argentina, Uruguay, Paraguay, Brasile, Venezuela si incontrano persone che hanno conosciuto o visto questo o quel criminale, che hanno scoperto come loro vicino di casa un pericoloso massacratore nazista o uno stratega dello sterminio degli ebrei. Molti di loro hanno vissuto una seconda esistenza da ricchi, altri da anonimi operai o da semplici agricoltori nell’infinita pampa. Si è parlato a lungo di favolosi tesori portati in Argentina dai sommergibili tedeschi che, a guerra conclusa, ancora facevano la spola tra l’Europa e il Sud America. Non a caso l’ultimo sottomarino tedesco si è consegnato ufficialmente alla Marina argentina il 17 agosto del ’45, tre mesi e mezzo dopo la caduta di Berlino. Portava la sigla U-977, era guidato dal capitano Heinz Schaeffer e conteneva un equipaggio di soli trentadue uomini. Cosa ha fatto tutto quel tempo in giro per gli oceani? Dove erano finiti i marinai che mancavano? Avevano forse lasciato il posto a uomini e donne più importanti di loro?

Così, sulla “Via dei topi”, si racconta che anche Adolf Hitler ed Eva Braun, proprio grazie agli U-Boot, fossero riusciti a farla franca e a raggiungere la Patagonia spargendo solo qualche loro dente sui cadaveri trovati carbonizzati nel giardino del bunker di Berlino. È qualcosa di più di una voce o di una leggenda. I russi, ad esempio, hanno sempre nutrito dubbi sull’identità di quei due corpi bruciati trovati a Berlino e gli americani conservano un dossier di settecentoquarantacinque indagini riferite al famigerato capo del Terzo Reich, di cui sessantuno dedicate all’eventuale presenza di Adolf Hitler ed Eva Braun in Argentina. Proprio in Argentina, dove avrebbero trascorso in tranquillità gli ultimi anni di vita, ci sono testimoni che giurano di averli incontrati e serviti. Il loro rifugio sarebbe stato una bellissima villa su uno dei bracci del lago Nahuel Huapi curiosamente denominato “Ultima speranza”, ancora oggi inaccessibile. Ma c’è chi assicura di aver visto Hitler e la Braun in uno chalet di Córdoba, chi ha assistito a un incontro Hitler-Pavelic a Mar del Plata, chi indica con precisione la stanza di un albergo sempre a Córdoba in cui il capo del nazismo dormì, chi lo vide passare su una Ford modello ’30 a Comodoro Rivadavia, chi giura di aver sentito dire che la suprema guida del Terzo Reich perì su un aereo precipitato alla fine degli anni ’50.

Ci si può persino sedere su quello che si chiama “El banco de Hitler”, una semplice panchina in legno posta a cinque chilometri dalla Caleta Olivia, a Santa Cruz, dove il dittatore, secondo le dicerie della popolazione del luogo, era solito contemplare l’oceano guardando in direzione dell’Europa. A quelle strambe latitudini australi le voci si rincorrono nel vento, il tempo è dilatato, la distanza infinita, la fantasia molto prossima alla realtà. Importanti ricerche sono state compiute dal giornalista Abel Basti, direttore del “Periodico del Sur” che al tema ha dedicato diversi libri tra i quali “El exilio de Hitler” e “Bariloche Nazi”. Laggiù si dimentica tutto in fretta, si possono acquistare e vendere con facilità identità diverse, mutare il corso dell’esistenza, diventare altri come testimoniano le vicende di Adolf Eichmann, catturato dal Mossad nel 1960 in un sobborgo di Buenos Aires, di Erich Priebke rintracciato a Bariloche oppure di Josef Rudolf Mengele, morto nel 1979 e sepolto nel cimitero di Nostra Signora del Rosario, a Embu das Artes, sotto la falsa identità di Wolfgang Gerhard.

Alla questione è dedicata pure la serie televisiva “Hunters”, un thriller scritto per Amazon Prime Video da David Weil, sotto la produzione esecutiva di Jordan Peele. Ispirata da eventi realmente accaduti, la serie ha come protagonista la leggenda del cinema Al Pacino. L'attore italo-americano interpreta il patriota Meyer Offerman, il quale nel 1977 scoprì che centinaia di fuggitivi, ex funzionari d'alto rango del partito di Adolf Hitler, erano arrivati in America e si stavano nascondendo tra la gente comune. Da ultimo ha fatto scalpore il ritrovamento dell’elenco dei capitali illegalmente presi agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, congelati a Buenos Aires e conservati nei caveau svizzeri. Si tratta di ben 12 mila presunti nazisti tramite i quali il Banco Alemán Transatlántico di Buenos Aires, una filiale della Deutsche Bank, e il Banco Germánico de la América del Sur avrebbero girato fiumi di denaro allo Schweizerische Kreditanstalt, oggi Credit Suisse. I documenti sono stati conservati da Pedro Alberto Filipuzzi, origini friulane, ex impiegato della Banca Nazionale dello Sviluppo.

Più di 35 anni fa un direttore glieli consegnò per mandarli al macero, ma lui li ha tenuti e poi li ha consegnati al Centro Wiesenthal. Quei documenti stavano a pochi metri dalla Casa Rosada, in un palazzo di calle 25 de Mayo, sede dell’ambasciata tedesca, del Banco Germánico de la América del Sur, filiale argentina del NSDAP e dei giornali di propaganda “El Pampero” e “Der Trommler”. L’edificio, espropriato alla fine del conflitto, divenne sede della Banca Nazionale dello Sviluppo, ereditando gli archivi del Banco Germánico in cui erano segnalati tutti i passaggi di denaro dall’Europa all’Argentina andata e ritorno. La documentazione fece parte di una inchiesta parlamentare argentina del 1941 finita nel nulla nell’era Perón. Dopo le scoperte di Filipuzzi, sia gli eredi dei tedeschi di Argentina, sia il Centro Wiesenthal, sia le autorità ebraiche d’Argentina stanno premendo sulla dirigenza di Credit Suisse per sbloccare i conti segreti, molti dei quali inattivi da anni. Si stima che la cifra totale sia pari a 33mila milioni di euro.

Filipuzzi, ora ingegnere informatico della società Telefonica, colosso argentino delle telecomunicazioni, impegnato nella lotta contro l’antisemitismo, ha un grande amore per la sua terra d’origine, come ha confessato al quotidiano Messaggero Veneto in un italiano perfetto: “Ho tanti amici in Friuli, la mia famiglia è originaria di San Giorgio della Richinvelda. E proprio nei confronti dell’ex sindaco Anna Maria Papais nutro grande rispetto e affetto: è stata lei nel 2008 a gestire le pratiche per la mia cittadinanza italiana. Anche se ho il mio lavoro e le mie imprese in Argentina, amo l’Italia e il Friuli, dove ho le mie radici. Aveva anche una bellissima fidanzata udinese e ora uno studio legale proprio di Udine mi sta aiutando a tenere i rapporti con Credit Suisse. Non posso fare nomi, ma si tratta di professionisti molto conosciuti”. Filipuzzi si è spinto a dire che un importante studio legale gli ha fatto un’offerta per mettere a tacere le cose, ma lui è andato avanti lo stesso, al punto che sta per pubblicare un libro sulla vicenda dal titolo “La rotta del denaro dei nazi argentini. L'organizzazione nazi dell'Unione Tedesca dei Sindacati. Lista dei membri".

Il fatidico elenco è quello degli iscritti alla filiale argentina della UAG (Unión Alemana de Gremios), il sindacato unico dei lavoratori tedeschi d'Argentina durante il Terzo Reich, una specie di lunga mano in Sud America del Deutsche Arbeitsfront (DAF), il Fronte tedesco del lavoro fondato nel 1933. Senza troppi fronzoli, nel testo sono contenuti i dati anagrafici e i numeri di tessera degli iscritti, le relazioni con le imprese tedesche legate al nazismo e il rapporto tra questo sindacato, banche tedesche con sede a Buenos Aires e gli istituti di credito svizzeri. Insomma, l’Argentina sarebbe stata quella che oggi si chiama un centro “offshore” in cui depositare conti segreti, valute straniere, titoli da girare poi puliti in Svizzera. A utilizzare i soldi erano migliaia di aderenti al sindacato che avevano il conto presso il Banco Germánico de la América del Sur di Buenos Aires, in cui operavano anche le imprese tedesche con base in Sud America. Se le porte economiche erano aperte ai nazisti, erano invece chiuse per gli ebrei, nonostante a Buenos Aires esistesse una delle più forti comunità del pianeta.

La conferma l’ha trovata Uki Goñi, autore del libro “Operazione Odessa”: nel 1941 venne emessa la Circolare 11 del cancelliere argentino José Maria Cantilo che ordinava alle ambasciate di negare i visti a coloro che cercavano rifugio in Argentina. Con il cappio al collo, molti ebrei furono costretti a depositare cifre enormi e interi patrimoni di famiglia alle filiali delle banche tedesche dei Paesi neutrali, che diventavano piazze di riciclaggio e investimento. Ci sono alcuni storici che contestano la versione dell’ingegnere italo-argentino Il Credit Suisse potrebbe anche nascondere denaro nazista, ma non in quelle quantità. E poi sarebbe stato difficile fare uscire dall’Argentina cifre così ingenti. Ora si punta gli occhi sulle recenti piccole aperture di Credit Suisse, dopo le lettere inviate dalla comunità ebraica d'Argentina in cui si denuncia le richieste di presunti eredi dei nazisti presenti sulla lista. Di certo alcuni discendenti di iscritti a quel sindacato potrebbero rivolgersi alla banca svizzera per reclamare i capitali. Secondo Filippuzzi tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo, alcuni discendenti si sarebbero mossi per sbloccare i conti del Credit Suisse e alcuni sarebbero pure riusciti ad ottenerli.