di MATTEO FORCINITI

C’era uno strano clima di attesa quel 13 marzo del 2020 in Uruguay. Tutti sapevano che prima o poi quel momento sarebbe arrivato e così vennero confermati i primi casi di positività al coronavirus nel mezzo dell’incertezza generale e con gli occhi puntati altrove dove l’emergenza era già realtà. Fu uno tsunami per il nuovo governo del presidente Luis Lacalle Pou che si era insediato appena due settimane prima. A distanza di un anno, la pandemia che ha sconvolto il mondo qui ha avuto effetti considerevolmente minori rispetto ad altrove senza aver mai implementato una quarantena totale, una caratteristica unica ma assolutamente fondamentale per capire la strategia uruguaiana della lotta al virus basata più sulla libertà responsabile che sui divieti a differenza di tanti altri paesi. Questa però non fu una scelta facile. Durante le prime settimane dell’emergenza sanitaria c’era una parte dell’opinione pubblica spinta dalla paura che chiedeva a gran voce la quarantena obbligatoria. Ai propulsori delle chiusure drastiche così rispondeva Lacalle Pou, politico di destra, liberista e liberale: “C’è davvero qualcuno disposto ad arrestare un uruguaiano solo per essere uscito di casa a cercare di guadagnarsi da vivere?”. Il senso delle parole del presidente era -e rimane- molto semplice da capire: una nazione povera come l’Uruguay non può permettersi il lusso di chiudere tutto, i costi sarebbero troppo alti. A ricordarci questo concetto elementare c’è la crisi economica che continua a farsi sentire e la tanto attesa ripartenza fa fatica a carburare anche per colpa della debolezza mostrata dal governo nei suoi piani assistenziali troppo modesti verso le fasce della popolazione in difficoltà. A parte i protocolli, le mascherine e il distanziamento, abbastanza poche sono state le limitazioni decretate durante questi primi 365 giorni di pandemia a cominciare dalle frontiere chiuse e non solo: l’aspetto più delicato -che è stato accompagnato da un profondo dibattito- è stata la legge che limita temporaneamente il diritto di riunione per il pericolo degli assembramenti con un coordinamento tra polizia e autorità sanitarie che si trova ancora in vigore ma scadrà a breve. Questo atteggiamento “morbido” che ha ricevuto l’attenzione internazionale è stato messo a dura prova nell’ultimo trimestre con una crescita vertiginosa dei numeri che potrebbe portare il governo ad adottare nuove misure nei prossimi giorni. Continuamente sono stati abbattuti i record giornalieri dei nuovi positivi ma nonostante ciò il sistema sanitario sta conti nuando a reggere l’impatto a dispetto delle previsioni più negative. Gli ultimi dati del Sistema Nacional de Emergencias (Sinae) ci dicono che oggi stiamo vivendo il peggior momento della diffusione del virus con la minaccia della variante brasiliana. Le morti registrate sono 698, mentre 9.896 persone sono attualmente positivi con 117 casi gravi in terapia intensiva. Il numero di casi positivi accumulati è arrivato a 70.133. 3.738 sono stati i casi riscontrati all’interno del personale sanitario di cui 3.316 guariti, 415 ancora positivi e sette vittime. Il primo anno di pandemia viene salutato con la speranza della vaccinazione che si è iniziata da due settimane e procede abbastanza velocemente. Attualmente si stanno somministrando i vaccini Sinovac e Pfizer e a breve dovrebbe arrivare pure Astrazeneca. Il ministro della Salute Daniel Salinas si è già sbilanciato: secondo le previsioni del governo la tanto attesa immunità di gregge dovrebbe arrivare in primavera. Se così fosse l’Uruguay potrebbe essere tra i primi paesi ad arrivare al traguardo.