di Marco Lupis

Avete presente quando due coniugi, ormai in procinto di divenire ex coniugi, si incontrano nello studio dell'avvocato divorzista per discutere come procedere? Quell'atmosfera tesa fatta di sguardi assassini, mescolata a battute sarcastiche e velenose che i due si lanciano contro, con in mezzo il povero avvocato che cerca di abbassare la temperatura nella stanza?

E tutto questo, magari subito dopo che uno dei due ha fatto arrivare all'altro una richiesta di alimenti stratosferica? Se ci siete passati, sapete bene di cosa stiamo parlando, e se invece avete avuto la fortuna di non averlo vissuto, avrete sicuramente visto molti film che descrivono molto bene la situazione. Bene, il summit tra gli emissari americani e cinesi in Alaska assomiglia a tutto questo, con l'aggravante che i due non si sono nemmeno mai "amati" – in passato – e che oltretutto manca pure l'avvocato che cerca di far da paciere. E ancora che, al posto della richiesta di alimenti, gli Usa hanno varato, proprio poco prima del summit, nuove sanzioni contro 24 politici cinesi per la repressione a Hong Kong.

I resoconti che arrivano dall'Alaska riferiscono di scintille verbali, accuse reciproche ai limiti dell'insulto e scenette ironiche degne del grande Totò. Insomma, malgrado la temperatura gelida ad Anchorage, il confronto tra il segretario di Stato americano Antony Blinken e il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, da una parte, e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il rappresentante del Politburo del Partito Comunista Yang Jiechi, dall'altra, si è molto surriscaldato in questo primo incontro faccia a faccia da quando Joe Biden è entrato in carica. Nemmeno durante l'amministrazione Trump i due contendenti – nelle occasioni di incontro ufficiali - si scambiavano commenti sprezzanti e si accusavano a vicenda di infrangere i protocolli internazionali come invece è accaduto oggi.

L'incontro pomeridiano sembrava iniziare bene, con i rappresentanti cinesi piuttosto gioviali mentre salutavano i giornalisti presenti, con il potente ministro Wang Yi che chiedeva al più anziano Yang Jiechi cosa avesse mangiato a pranzo ("noodle cinesi, naturalmente" la risposta pronta di questi). Le prime scintille, però, sono arrivate subito, durante le dichiarazioni di apertura delle due delegazioni le quali, secondo protocollo, avrebbero dovuto durare un paio di minuti, e invece si sono protratte a lungo, con Blinken e Sullivan che hanno parlato per quasi 10 minuti.

Attaccando subito senza mezzi termini i cinesi, Blinken ha sollevato la questione di Xinjiang, Hong Kong, Taiwan, ha accusato la Cina di effettuare attacchi informatici contro gli Stati Uniti e di coercizione economica nei confronti degli alleati americani. Come prevedibile, la delegazione cinese non ha reagito bene  e ha risposto con un lungo discorso di quasi 20 minuti, dai toni sprezzanti, senza rinunciare però a una battuta ironica, forse nell'estremo tentativo di abbassare la tensione, quando Wang ha fatto notare egli stesso che la sua risposta così lunga sarebbe stata un test per le capacità di traduzione dell'interprete, mentre Blinken rispondeva con pari ironia proponendo che al traduttore venisse aumentato lo stipendio. Una tregua brevissima, perché dopo questo inedito siparietto Yang ha risposto all'attacco americano nello stesso stile aggressivo: "Temo che abbiamo pensato troppo bene degli Stati Uniti finora" ha esordito, "convinti che avrebbero seguito i necessari protocolli diplomatici. Vedo che ci siamo sbagliati" ha insistito, senza nascondere la sua irritazione.

Ne è seguita allora una polemica per la presenza dei giornalisti, da parte americana, che ha trasformato quelli che di solito sono pochi minuti di discorso di apertura in un evento della durata di oltre un'ora, secondo quanto riferito. Yang ha detto alla stampa di "aspettare" e ha accusato gli americani, sostenendo che gli sforzi per spingere la stampa fuori dalla stanza sono stati un esempio di come gli Stati Uniti non supportino davvero la democrazia come invece vogliono far credere.

Iniziata male, la sessione è proseguita sempre peggio: "Le azioni della Cina minacciano la stabilità globale", ha detto Blinken alla sua controparte cinese, aggiungendo che Washington non vuole un "conflitto" con Pechino "ma è favorevole a una dura concorrenza". Yang Jiechi ha replicato seccamente invitando gli Usa ad abbandonare la mentalità da guerra fredda e minacciando "misure dure" contro l'"ingerenza americana".

Le due parti si sono trovate in disaccordo praticamente su tutto, con Washington che ha nuovamente imputato a Pechino la repressione degli uiguri, che gli Usa hanno già definito "un genocidio", il giro di vite repressivo su Hong Kong, la tensione su Taiwan e sul Tibet, la violazione dei diritti umani e le "detenzioni arbitrarie", la "militarizzazione" del mare della Cina meridionale, le "pressioni economiche" e le pratiche commerciali sleali, il "furto della proprietà intellettuale", i cyber-attacchi, l'assenza di trasparenza sulle origini del Covid-19. In risposta, Yang ha accusato Washington di usare la sua potenza militare e la sua supremazia finanziaria per cercare di schiacciare altri paesi. "L'America abusa della propria posizione per ostacolare i normali scambi commerciali e incitare alcuni paesi ad attaccare la Cina", ha aggiunto Wang, restituendo al mittente anche l'accusa più urticante di tutte, quella della sistematica violazione dei diritti umani da parte della Cina: "i diritti umani negli Stati Uniti non ci sembrano molto tutelati, visto quanto accaduto nei confronti dei neri americani "massacrati" ha detto il ministro degli esteri cinese.

Da parte sua, la Cina vuole che siano eliminati i dazi commerciali introdotti dall'amministrazione Trump sui beni cinesi e accusa anche gli Stati Uniti di "sopprimere" società tecnologiche cinesi di successo, come Huawei. E questo proprio nel giorno in cui, in Cina, inizia il processo contro i due cittadini canadesi arrestati nel 2018 e accusati di spionaggio, Michael Spavor e Michael Kovrig, in quella che è parsa a tutti una evidente ritorsione contro il Canada, reo di avere arrestato la CEO di Huawei. Nella città di Dandong, al confine con la Corea del Nord, Spavor è stato formalmente accusato oggi di aver assistito il connazionale Kovrig (che dovrebbe andare alla sbarra lunedì) in non meglio precisate "attività di spionaggio". L'opacità dell'udienza odierna – durata tre ore – ha dato il via a forti critiche nella comunità internazionale. Dieci diplomatici di otto paesi, tra cui uno canadese, si sono visti negare l'accesso all'aula. "Michael [Spavor] è solo un normale uomo d'affari canadese che ha fatto cose straordinarie per costruire legami costruttivi tra il Canada, la Cina e la Repubblica Democratica Popolare di Corea", ha affermato la famiglia, chiedendone nuovamente il rilascio immediato. Resta il dubbio che la sovrapposizione temporale tra il processo e il vertice di Anchorage sia voluta, da parte di Pechino, e che l'esito dei colloqui influenzerà il corso della giustizia cinese e la sorte dei due canadesi.

Sul piano delle possibili collaborazioni, resta sul tavolo soltanto una possibile intesa sulla lotta all'inquinamento globale e sulla riduzione delle emissioni di Co2, punti sui quali Pechino ha detto di voler collaborare, dichiarando la propria intenzione di abbandonare completamente la dipendenza dai combustibili fossili entro il 2060 e impegnandosi anche a ridurre entro il 2030 le emissioni di anidride carbonica almeno del 65 per cento, rispetto ai livelli del 2005. Due obiettivi che però – secondo gli analisti internazionali – sembrano di difficile attuazione. Secondo uno studio del Center for Global Sustainability dell'Università del Maryland, infatti, la Cina, se vuole raggiungere questi ambiziosi target ambientali, deve al più presto interrompere la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone e chiudere quelli esistenti e inefficienti, oltre a mettere sul piatto 6,4 trilioni di dollari per sviluppare fonti alternative in grado di produrre una quantità enorme di energia "Pulita", in un Paese che vedrà la sua fame energetica più che raddoppiare nei prossimi anni.

Insomma, Washington e Pechino rischiano di uscire da questo summit in disaccordo su tutto, e uniti su niente, mentre sui social media cinesi diventava virale una vignetta che ritraeva i delegati cinesi come conigli e gli americani come aquile, che gridavano e si sputavano addosso l'un l'altro. Prontamente fatta scomparire dalla rete, grazie all'efficiente censura interna.