di Sara Roversi

Oggi 22 marzo si celebra per la seconda volta la Giornata Mondiale dell’Acqua nel pieno dell’emergenza pandemica. In un’ottica sistemica, l’unica possibile quando si tratta di certi temi, non è pensabile attribuire una priorità alle emergenze che l’umanità sta vivendo, perché sono tutte iperconnesse. Tutte, riflesso del collasso di modelli iper consumistici e fondati sul sovrasfruttamento di risorse naturali scarse.

L’oro blu è a rischio. Parliamo di una delle risorse naturali essenziali per la vita sul Pianeta. Siamo composti di acqua. Abbiamo bisogno di acqua. I nostri campi hanno bisogno di acqua e il cambiamento climatico sta acidificando i mari e compromettendo il ciclo di vita naturale di questo bene prezioso.

In questo scenario, continua a essere fondamentale occuparsi anche di emergenza idrica, soprattutto in un Paese ad alto rischio idrogeologico e con molti territori, specie nel Sud, classificati come a rischio siccità.

Il ministro Cingolani qualche giorno fa ha sottolineato come ci siano dei mutamenti climatici già irreversibili e quanto l’Italia rischi più di altri Paesi. “Infatti - ha spiegato il ministro per la Transizione Ecologica - la temperatura media del Pianeta è aumentata di circa 1.1 gradi in media dal 1880, rendendo fenomeni estremi sempre più frequenti e acuti. L’ulteriore aumento del riscaldamento climatico è ormai inevitabile, anche in scenari ambiziosi di progressiva decarbonizzazione”.

La decarbonizzazione è necessaria e certamente inciderà su scenari futuri che, altrimenti, potrebbero essere disastrosi, come pure si legge sull’Intergovernmental Panel on Climate Change. Eppure alcuni effetti, nonostante la decarbonizzazione, arriveranno ugualmente e di nuovo è l’acqua al centro dei rischi, di quelli che può provocare e di quelli che può subire. Si pensi all’innalzamento dei livelli dei mari: sono previsti 19 centimetri di innalzamento medio del livello dei mari con +2 gradi e questo comporta rischi elevatissimi.

Non è un caso che Future Food Institute e FAO abbiano scelto Marettimo, nelle isole Egadi e nel cuore del Mediterraneo, come meta per il nuovo Boot Camp formativo di “Climate Shapers”. È qui che stiamo concentrando i nostri investimenti e i nostri sforzi, dove si annidano le sfide più urgenti, ed è lì che si nascondono “risorse dormienti”, come direbbe il Prof. emerito dell’Università di Bologna Gianni Lorenzoni, capaci di trovare soluzioni resilienti in grado di mitigare e adattarsi alla crisi climatica.

Marettimo e Pollica per il Future Food Institute rappresentano due mete iconiche dell’impegno che dobbiamo profondere con progetti concreti. Proprio a Pollica abbiamo realizzato un progetto, “Acqua nelle nostre mani”, che ha contribuito a migliorare le infrastrutture idriche del Cilento, risparmiando 64 milioni di litri di acqua.

Il Pianeta ne ha bisogno e ogni goccia è fondamentale per agire in modo concreto in quella che l’ONU ha definito la “decade of action”, cioè quella che ci separa da un 2030 già compromesso e rispetto ai cui obiettivi di sviluppo sostenibile abbiamo, come ci ricorda Nature, accumulato già 5 anni di ritardo.

Tutto questo avviene nella nostra blue marble, la sfera celeste nella quale siamo sospesi, abitata da un quarto di persone colpite da stress idrico estremo, dove l’agricoltura, l’industria e l’uso domestico assorbono oltre l′80% delle risorse idriche (agricoltura in primis), mentre 2,2 miliardi di persone non hanno ancora accesso ad acqua potabile di buona qualità.

L’Italia, di cui bene Roberto Cingolani sottolinea il rischio, è posizionata tra Egitto e Thailandia nella classifica nazionale dello stress idrico. La nuova ricerca Ipsos evidenzia che la scarsità d’acqua è un problema per 2 italiani su 10, solo il 3% ha la corretta percezione sul consumo per famiglia ed il 48% sottostima il consumo personale.

L’Istat 2020 rivela che quasi il 36% delle famiglie italiane sperimenta irregolarità nell’approvvigionamento idrico durante l’anno. Siamo con l’acqua alla gola per tante emergenze. Quella idrica va affrontata in fretta, in modo sistemico ma anche individualmente responsabile, senza sprecarla in sé o nel cibo che continuiamo a sprecare, nonostante le emergenze in corso.