di Francesco Andoli 

La PASTIERA NAPOLETANA, tra i nostri dolci tipici, é la sola che conserva ancora una dimensione puramente casalinga. Sia chiaro, non che le pasticcerie in città non sappiano farla a regola d'arte, ma la pastiera, quella vera, va fatta in casa. Punto e basta! E, badate bene, nessuna pastiera è mai uguale a un'altra.

Alta, bassa, grano passato, a metá o per intero, umida o assai "zucosa", piú o meno profumata di acqua millefiori, con o senza crema pasticcera, pettola sottile oppure più spessa, ricotta fine o più granulosa, uova prese dal salumiere o dirattamente da sotto alla gallina allevata dall'ultimo contadino rimasto ai Camaldoli. 

La Pastiera - diciamolo una volta per tutte - non mette d'accordo nessuno: getta scompiglio, crea zizzania, genera competizione, innesca una sorta di guerra civile partenopea. Il motivo? Ogni famiglia é straconvinta di essere depositaria e custode della suprema formula, della ricetta per eccellenza. Una ricetta che, solitamente, si tramanda da generazione in generazione ed è stata annotata, in bella grafia, nel tardo medioevo, su di un quaderno senza copertina i cui fogli ingialliti si tengono ancora insieme con la sputazza. Oh, ma straconvinta che più straconvinta proprio non si può!

La ricetta di mammá, quella della nonna, chella râ bisnonna, chella rā vicina 'e casa di quando abitavamo chissà dove, chella râ guardaporta, quella della sorella, della nipote, dā cummare, dell'amica 'e chi tê stramuorto!

Immancabile poi, è la ricetta dello zio che ha fatto il pasticciere da Scaturchio. Ogni napoletano che si rispetti, per qualche misterioso motivo, ha uno zio che faceva il pasticciere da Scaturchio e che ha trafugato dal quel leggendario laboratorio la ricetta segretissima. Talmente segreta câ 'a sanno tutte quante, tranne i titolari della pasticceria Scaturchio.

E poi, di pastiera, in casa, non se ne prepara mai una sola. Si cucinano pastiere da regalare a chiunque. Tutti scambiano pastiere con tutti, in modo compulsivo al punto che, in questo turbinio di pastiere ca vanno annanz' e arreto, alcune tornano persino indietro, sotto forma di dono, a chi quella pastiera l'aveva preparata giorni prima ed è talmente "sicuro e padrone" della sua ricetta che se la mangia senza accorgersi che si tratta proprio della sua, arrivando persino ad esclamare: "vabbuó, nun pazziamme, î 'a facce cientemila vote cchiú bbona!".

Fatidico, infine, è il momento dell'apertura, il taglio della prima fetta a cui fa seguito l'assaggio. Lì è la famiglia stessa che implode, la guerra civile si trasferisce tra le mura domestiche: "uaaaaa è venuta perfetta", "no era meglio l'anno passato", "nun dicere strunzate, era meglio tre anni fa", "è colpa 'e chillu sfaccetta 'e furno", "l'anno ca vene l'aggia cagna'.

Tutto ciò fino a quando non si leva alta una voce, la solita voce, che perentoria nella sua infinita saggezza esclama: ma che ve ne fotte, magnate e stateve zitte!

Buona Pasqua!