di Franco Manzitti

Con i terroristi italiani, l’appuntamento era sempre nello stesso posto la Brasserie Lipp, nel cuore di Parigi, un bistrot storico, a pochi passi dal Louvre, sull’altra sponda della Senna.

Lì si incontravano, come nel loro ufficio, i terroristi dell’estremismo rosso, scappati dall’Italia negli Anni di piombo, tra l’inizio e la fine dei Settanta e Ottanta ed anche dopo.

Li copriva la dottrina Mitterrand, che ne impediva l’estradizione richiesta dall’Italia, se non erano coinvolti in fatti di sangue.

Nel culmine del terrorismo erano almeno duecento, nascosti tra il centro di Parigi e la banlieue, dalle piccole librerie del quartiere latino ai quartieri lontani.

Quanti ne ho incontrati in quel tempo, rimbalzando da Genova, che era una delle capitali del terrorismo, soprattutto quello rosso, delle Br, nate a Chiavari nel 1970. E diventate il partito armato che minacciava le istituzioni repubblicane con una sequenza di attentati spaventosi. Nel 1974 a Genova il rapimento del magistrato Mario Sossi. Nel 1976 l’uccisione del procuratore generale di Genova Francesco Coco. Nel 1977 il rapimento a Roma di Aldo Moro il punto più alto di quell’attacco terroristico. Poi nel 1979 l’assassinio dell’operaio sindacalista Guido Rossa, ancora a Genova.

E in mezzo tanti altri delitti, uccisioni, gambizzazioni, sequestri, in una sequenza che ha fatto, insieme col terrorismo nero delle bombe sui treni, nelle stazioni, nelle piazze d’ Italia, 300 morti. E provocato 1986 arresti tra le fila di quei sedicenti eserciti rivoluzionari con tante sigle diverse. Ma tra i quali i brigatisti rossi, della stella a cinque punte, sarebbero stati i più numerosi, i più pericolosi, i più sanguinari. Il movimento nacque sotto gli occhi di tutti nella sala Marchesani di Chiavari, fondato da Renato Curcio, studente di sociologia a Trento

Erano protetti da Mitterand, allora l’onnipotente presidente socialista francese e cullati da una intellighentia transalpina con molte ramificazioni. Tanto lunghe fino ad arrivare nell’epoca più recente a Carla Bruni, la moglie italiana del presidente Sarkozy, la cosidette première dame…..

Bastava chiedere ai principali giornalisti italiani con sede a Parigi i numeri di telefono dei rifugiati, che erano una vera colonia di nomi famosi e anche meno famosi e il gioco era fatto.

Con qualche finta cautela si andava all’appuntamento per interviste, che in Italia sarebbero state impossibili. E si incontravano personaggi diventati celebri, per certi aspetti presentati come delle specie di Robin Hood. Che ti riempivano la testa delle loro teorie, in cambio di qualche piccola informazione su quello che stava accadendo in Italia. Dove i loro compagni erano “clandestini”. E, fino al pentimento di Patrizio Peci davanti al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assolutamente inafferrabili.

In Italia si stentavano a conoscere i nomi dei terroristi. Se non di quelli più celebri, magari catturati ed evasi come lo stesso Curcio. Come Enrico Franceschini, sequestratore di Sossi. Come Mara Cagol, uccisa poi in un conflitto a fuoco con i carabinieri del maresciallo Maritano. Anche lui caduto nella sparatoria.

La legge sui pentiti spaccò i terroristi - Li avremmo scoperti “dopo”, soprattutto quelli più sanguinari. Quando la legge sui pentiti schiantò un’organizzazione molto meno vasta di quanto si pensava allora. E dimensionata oggi, secondo le cifre fornite dallo stesso fondatore Curcio, in 911 militanti della stella a cinque punte.

Allora a Parigi in quelle interviste alla Brasserie Lipp non venivano certo fuori i nomi dei capi, che muovevano le colonne terroriste. Come Mario Moretti che sequestrò Aldo Moro e lo interrogò. O Prospero Gallinari, che lo uccise nel portabagagli di quella Renault Rossa, in via Caetani, con una scarica di mitra. O Giovanni Savasta, killer di 17 omicidi, salvato dalla legge dei benefici speciali e tutt’ora vivo chissà dove. Probabilmente con un altro volto, oltre che con una altra identità. O Riccardo Dura che cambiò la sentenza contro l’operaio Rossa sparandogli alla testa, invece che alle gambe.

Arrivavano i più intellettuali, i meno “militari”, le teste più pensanti, quelli più border line tra la guerriglia armata e l’ideologia che riempiva le “risoluzioni strategiche”. I volantini che minacciavano, processavano, scandivano il marxismo leninismo di quel sogno folle che insanguinava il paese.

A Parigi c’era stato a lungo Toni Negri, l’ideologo del teorema terroristico che i magistrati di Padova avevano messo sotto processo. In una delle vicende giudiziarie più complesse degli Anni di Piombo.

E c’era Oreste Scalzone, ex Potere Operaio, napoletano, inseguito dalla giustizia dopo i fatti di valle Giulia a Roma, ex di Potere Operaio e di Autonomia. Figlioccio di Franco Piperno e di Marco Vesce, i leader del Sud, quelli che teorizzavano. E preparavano il brodo di cultura nel quale sarebbe stato preparato ad esempio anche il sequestro di Ciro Cirillo. Il leader democristiano la cui vicenda fece tremare i vertici della Balena Bianca per il riscatto pagato non si sa con quali soldi.

I sofismi di Scalzone sui terroristi-Ricordo bene i sofismi, le elucubrazioni di Scalzone in quelle “sedute” parigine, tra il fumo della Brasserie, i cieli grigi della capitale francese. A Parigi lui, oggi settantatreenne, sarebbe rimasto quasi trent’anni, fino al 2007, al riparo da condanne che non erano state mai per fatti “militari”, ma ideologici.

Oggi, alla notizia dei sette arresti Scalzone, che è di nuovo a Parigi, ha lanciato uno sciopero della fame per sostenere i compagni catturati. Tra i quali ci sono anche condannati in via definitiva all’ergastolo.

“Nelle società ha sempre funzionato l’oblio – ha spiegato, inventando, l’ex di Potere operaio – che serve a cancellare definitivamente la memoria dei grandi scontri. Questi arresti ci ributtano in pieno Novecento, un secolo che non finisce con i suoi orrori. Incominciati con la macelleria della Prima Guerra mondiale e continuati ininterrottamente. Non gioiranno neppure i parenti delle vittime per questa retata, che esaspera quella memoria.”

Non ci può essere oblio per i terroristi - Ma il terrorismo e gli Anni di piombo non si riescono certo a cancellare con l’oblio che Scalzone invoca come una spugna. Una odissea durata dal 1970 ai Novanta degli omicidi di Marco Biagi, che ha portato 4 mila terroristi in carcere. Che conta in prigione ancora 11 irriducibili e imprendibili. All’estero decine di “scomparsi”, come Lorenzo Carpi, il genovese. Compagno di studi di professionisti e anche giornalisti oggi affermati. Condannato all’ergastolo per due omicidi, sparito da oltre quaranta anni, oggi sessantottenne. Che ha nel suo curriculum, sepolto dal tempo, la referenza di essere stato l’autista di tutte le imprese Br a Genova.

Difficile ricomporre il mosaico che l’operazione francese, voluta personalmente da Macron, d’accordo con Draghi, rimette in luce dopo gli anni, meglio i decenni di quell’oblio invocato da Scalzone.

Che dire di Pietrostefani, uno degli arrestati più noti insieme a Marina Petrella, assassina del generale Galvaligi e sequestratrice di Moro. Condannato per l’omicidio del commissario Calabresi, con ancora 14 anni da scontare, fondatore di Lotta Continua, all’epoca soprannominato Pietro Stalin per la sua durezza militante. Oggi ottantenne e malato, un uomo lungo la cui vita scorre tutta la trama di quegli anni infiniti di dolore, morte e rivoluzioni tentate.

E che ora finisce in una nuova prigione, quando già a sessant’anni, dopo essersi rifugiato all’inizio degli anni Duemila in Francia, aveva fatto questa battuta: “Alla mia età mi tocca ancora giocare a nascondino:”

Finisce la dottrina Mitterrand - Altro che nascondino, qui la caduta della dottrina Mitterand risquaderna un’epoca intera. Mai del tutto scoperta. Che ha lasciato nella sua terribilmente lunga scia di sangue, di condanne, di fughe, di processi, di pentimenti, segreti mai svelati, misteri mai risolti. Sarebbe lungo elencare, sarebbe come versare altro sale sulle ferite dei parenti delle vittime. Che non riescono a dimenticare e che magari quaranta anni dopo scoprono un sussulto della giustizia che aspettavano oramai invano. Invecchiati, diventati uomini e donne, da bambini orfani che erano allora.

Non c’è oblio, forse c’è una rabbia fredda, una soddisfazione rassegnata, come quell’aria gelida che ti sbatteva in faccia quando uscivi dalla Brasserie Lipp di Parigi, dopo avere incontrato i latitanti “protetti” e non avevi capito.