di Claudio Paudice

 

La questione dei nuovi cibi come il veggie burger (un ‘hamburger’ vegetale, che non ha carne pur richiamandola nella denominazione) è ritornata al centro delle discussioni dopo il via libera da parte di Bruxelles alla commercializzazione come alimento delle larve essiccate del coleottero Tenebrione mugnaio, note anche come tarme della farina: si tratta del primo insetto a ricevere l’autorizzazione Ue da parte dell’Europa.

Qualche giorno fa gli Stati membri hanno approvato la proposta di regolamento preparata dalla Commissione europea dopo il parere dell’Autorità per la sicurezza degli alimenti (Efsa). Il “nuovo alimento” (secondo la definizione Ue) potrà essere immesso in commercio come snack, con l’insetto essiccato intero, oppure come farina, ingrediente per prodotti alimentari.

La decisione formale della Commissione europea sarà adottata nelle prossime settimane rientrando nel piano d’azione Ue 2020-30 per i sistemi alimentari sostenibili. Una strategia, nota come Farm to Fork, che identifica gli insetti come una fonte di proteine a basso impatto ambientale che possono sostenere la transizione ‘verde’ della produzione. Al momento sono undici le domande per insetti come nuove alimenti all’esame dell’Efsa. E la legislazione nazionale, che per ora non autorizza gli insetti come alimenti, ma solo come mangimi, si adeguerà.

Ma gli insetti non sono l’unica trovata che sta facendo clamore, l’ultima riguarda il “latte di piselli”, promosso l’altro giorno su Linkedin dal vicepresidente di Nestlé Bart Vandewaetere: “Con questa nuova alternativa al latte, fatta con piselli gialli frullati del Belgio e della Francia … Per ora in Francia, Paesi Bassi e Portogallo, ma altri in arrivo. Salute!”, ha brindato. Si tratta in pratica di una bevanda lattescente ma a base di piselli e che con il latte non ha nulla a che vedere. “Se un italiano vuole del latte, comprerà del latte. Se vuole dei piselli, comprerà dei piselli. Questa invece è una sostanza che ha le sembianze del latte pur non essendolo, a base di piselli trasformati e con aggiunte di sostanze che lo rendono simile al latte”, spiega all’HuffPost Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, la fondazione che riunisce il meglio del Made in Italy agroalimentare. “Qui c’è in corso il tentativo di trasferire nei laboratori la produzione dei cibi con aggiunte sintetiche, cercando di riprodurli nell’aspetto, per andare incontro agli interessi delle grandi multinazionali del food. Per noi italiani, per la nostra tradizione e per la nostra dieta che ha contribuito a fare del nostro popolo uno dei più longevi, rappresenta un rischio enorme”.

Per non parlare della proposta in discussione al Parlamento Europeo di dealcolizzare il vino, principale voce dell’export agroalimentare nazionale che vale oltre 6 miliardi di euro. L’idea è di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol. Una tegola che arriva in un momento difficile per il settore che sconta un crollo del 20% del consumi all’estero nel 2021. ”È un mega inganno legalizzato per i consumatori che si ritrovano a pagare l’acqua come il vino - ha denunciato nei giorni scorsi la Coldiretti - un prodotto nel quale vengono compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di un trattamento invasivo che interviene nel processo di trasformazione dell’uva”.

La Commissione Europea ha fatto trapelare una smentita due giorni fa affermando che la proposta non contiene alcun riferimento all’aggiunta dell’acqua nel vino. “Ma nemmeno viene esclusa”, dice Scordamaglia. “La verità è che non c’è uno straccio di documento scritto né garanzie su come dovrebbe avvenire il processo di dealcolizzazione del vino. E per noi è fondamentale la trasparenza nell’agroalimentare. Se tratti i prodotti con aggiunte chimiche per farli apparire simili o uguali a quelli naturali o classici, trai in inganno il consumatore. Questo può valere tanto per i burger vegetali, che per il latte di piselli o per il vino senz’alcol”.

L’introduzione della dealcolizzazione parziale e totale come nuove pratiche enologiche, secondo la Coldiretti “rappresenta un precedente pericolosissimo che metterebbe a rischio l’identità del vino italiano e europeo, anche perché la definizione naturale e legale del vino vigente in Europa prevede il divieto di aggiungere acqua”.

Secondo il consigliere di Filiera Italie, tutte le proposte europee in discussione sono da inserire nel contesto più ampio che riguarda la programmazione delle politiche agroalimentari di Bruxelles: “In quale direzione sta andando l’Europa? Durante la pandemia la Russia ha imposto i dazi per tutelare il suo grano, la Cina ha introdotto sanzioni contro gli sprechi del cibo. Insomma, mentre i Paesi in via di sviluppo, con la crescente capacità di spesa acquisita nel corso degli anni, chiedono di poter accedere alle eccellenze della dieta europea e mediterranea, mentre la Cina e la Russia hanno ben chiara la gestione della food security e la strategicità del settore agroalimentare, noi che facciamo? Stravolgiamo il nostro cibo in nome della sostenibilità solo ideologica e non competitiva? Non è questa la strada giusta, né quella più sensata”.

C’è un’altra via, secondo Scordamaglia, ed è quella che l’Italia ha già intrapreso da molti anni a questa parte: “Noi siamo secondi al mondo per automazione e ricorso a robot nella filiera del food. L’Italia produce già ora 30 milioni di Co2 equivalente, contro i 70 milioni della Germania e i 50 della Francia. Abbiamo ridotto del 12% le emissioni, del 15% l’uso dei fertilizzanti e del 42% quello di antibiotici. Si può fare di più ma si può essere sostenibili senza dover cedere ai prodotti sintetici”.

Le polemiche intorno alla nuova strategia Farm to Fork al centro delle trattative europee non accenna quindi a placarsi, e vede i produttori italiani sul piede di guerra nei confronti di Bruxelles e del Nord Europa. Ma la battaglia di tutte le battaglie passa dal Nutriscore, un sistema di etichettatura dei cibi “a semaforo” proposto dalla Francia e supportata da Bruxelles ma fortemente osteggiato da alcuni Paesi, Italia in testa. Il Nutriscore assegna un bollino dal verde al rosso in base alla presenza di zuccheri, grassi o sale nei cibi e già in uso in diversi Paesi europei. L’Italia, anche col precedente Governo e supportato dalle associazioni come Confagri, Coldiretti, Filiera Italia, da tempo si batte contro un’etichettatura penalizzante per i prodotti d’eccellenza del Made in Italy. Facciamo qualche esempio: l’etichetta “nutri-score” assegna al parmigiano reggiano il bollino arancione (D): un giudizio critico, senza appello, che punta il dito sulla quantità assoluta di sale presente nell’alimento. Per non parlare poi della mozzarella di bufala, o dell’olio extravergine di oliva, classificato anch’esso con il bollino arancione (D). Quello dell’olio è un esempio esaustivo delle distorsioni che può causare l’etichettatura a “semaforo”: il “nutri-score” assegna all’olio di oliva (non extravergine) lo stesso giudizio dell’olio di colza (bollino giallo, C). Ironia della sorte, come lo stesso vicepresidente Nestlé ha tenuto a mettere in risalto, anche il latte a base di piselli è classificato con la lettera A del Nutriscore, promosso a pieni voti secondo il sistema di etichette che probabilmente sarà adottato in Ue. E allora salute! Se così si può dire...