di Guido Scorza

Il Governatore della Florida Ron De Santis ha firmato lunedì una legge con la quale vieta ai social media di riservare a un candidato politico il trattamento riservato all'ex Presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump da tutti i principali social network all'indomani dei fatti di Capitol Hill.

Fin troppo evidente la matrice intrisa di politica fino al midollo dell'iniziativa legislativa ma è comunque un precedente che fa riflettere.

I social network non potranno più condannare all'ostracismo digitale perpetuo un candidato politico neppure davanti a violazioni incontestate e incontestabili dei loro termini d'uso.

La "pena" più severa che Facebook, Twitter, YouTube e gli altri potranno applicare a chi violasse le loro regole mentre è candidato sarà una sospensione dell'account per quattordici giorni.

E la violazione della legge potrà comportare per il social media una sanzione fino a 250mila dollari per ogni giorno in più di durata dell'esclusione del social di un candidato a una carica nazionale e fino a 25 mila dollari, sempre al giorno, per un candidato a una carica locale.

Nessun problema, invece, per la rimozione di singoli post, anche se pubblicati da un candidato politico, che resta sempre possibile.

Si tratta della prima legge nel suo genere negli Stati uniti d'America ma, forse, anche in giro per il mondo.

Ovviamente è innanzitutto una reazione all'esilio al quale i social media hanno condannato Trump dopo i fatti di Capitol Hill del 6 gennaio come suggerisce la data di presentazione del disegno di legge: guarda caso il 7 gennaio.

Ma tanto non basta per svuotare di significato l'iniziativa che, infatti, negli USA sta facendo discutere.

Da un lato chi la ritiene una sana implementazione del primo emendamento e un rafforzamento dei presidi alla libertà di parola e dall'altro chi la considera incostituzionale perché entra a gamba tesa nella libertà di impresa.

Da una parte chi la considera un atto necessario contro le derive censoree dei giganti del web, dall'altra chi la ritiene il volano di una progressiva degenerazione del dibattito politico nella direzione della violenza verbale e dei discorsi di incitamento all'odio.

Che abbiano ragione gli uni o gli altri se ne parlerà a lungo e altri Stati già iniziano a ragionare sull'idea di adottare leggi analoghe.

Tra tanti possibili e, anzi, probabili limiti e difetti, però l'iniziativa legislativa del Governatore della Florida anima il dibattito su una questione centrale per il governo del futuro online: dove è giusto che inizi e finisca il diritto di piattaforme che sono ormai diventate parte integrante di una sorta di infrastruttura globale della comunicazione e, per questa via, autentiche essenzial facilities democratiche di decidere autonomamente chi ha diritto di parola e chi no e di condannare qualcuno all'ostracismo a vita persino se si tratta del Presidente in carica – perché tanto è avvenuto – degli Stati Uniti d'America?

E questo, naturalmente, a prescindere da ogni giudizio di valore e di merito sull'uso e l'abuso che l'ormai ex Presidente avesse fatto dei social network.

Questa domanda merita una risposta che, peraltro, meglio sarebbe se fosse universale a differenza di quella proposta in Florida perché è almeno dubbio che la libertà di parola online di un candidato politico debba valere di più rispetto a quella di un cittadino qualsiasi.

Una piattaforma di social media è giusto che abbia il diritto di condannare all'esilio un cittadino qualsiasi che magari denuncia uno scandalo di Stato solo perché, nel farlo, usa toni inappropriati o immagini che violano i suoi termini d'uso?

O una simile decisione – che si tratti di candidati politici o cittadini qualsiasi – dovrebbe essere eventualmente assunta solo ed esclusivamente da un Giudice o da un'Autorità, eventualmente, anche su istanza del social media e utilizzando le soluzioni tecnologiche per l'enforcement messe a disposizione da quest'ultimo?

La questione è irrisolta da troppo tempo.