di Juan Raso

 

 

Mentre in Italia la situazione del COVID é notevolmente migliorata, in Uruguay i risultati lasciano perplessi. Su tre milioni di abitanti, ogni giorno si infettano circa 4.000, il che - rapportato alla popolazione italiana - equivarebbe a 80.000 casi al giorno. Una follia, da cui non se ne riesce a uscire. I negozi e le palestre aperte, mentre le scuole rimangono chiuse. Ascolto la radio e mi dicono che uno dei vaccini non sarebbe efficace e forse sará necessaria una terza dosi, ma non si sa bene quale. 

Possiamo chiederci se la crisi della pandemia é una crisi strutturale o congiunturale. Strutturale é quella crisi che pone a rischio le stesse strutture di un sistema politico, sociale, economico: una crisi definitiva, senza ritorno. Le crisi congiunturali si riferiscono invece a una situazione di deterioramento delle condizione socio-politiche, ma sempre di carattere occasionale. Ogni epoca ha le sue crisi occasionali, che si ripetono a cicli, ogni tanti anni, con oscillazioni elastiche, che comunque non mettono in crisi le strutture nazionali. Le crisi economiche che abbiamo conosciuto dal 1980 ad oggi sono state crisi congiunturali, da cui sempre se ne é uscito e l’esperienza - anche nel momento peggiore della crisi - ci diceva che da quella situazione ne saremmo usciti. 

La novitá della pandemia é che mi pare una crisi congiunturale, ma la sua particolaritá é che non consente vaticinare una fine previsibile: una congiuntura, cioé, a tempo indefinito. 

Le domande sono molte: a partir dal 2020 il mondo continuerá a vivere in uno stato di permanente quarantena a partire dalle diverse mutazioni dei virus? Potremo progettare la nostra vita a media scadenza? Gli imprenditori continueranno a costruire alberghi e navi di lusso per crociere?  Gli aeroporti piú importanti del mondo riprenderanno a registrare partenze ed arrivi ogni minuto? Viaggiare per piacere continuerá ad essere un obiettivo delle nostre vite o ci limiteremo a viaggiare per necessitá o lavoro? 

Nessuno é in grado di rispondere ed é questa incertezza che  é alla base della crisi attuale: una crisi che colpisce non solo la salute, ma modifica radicalmente il nostro modo di vivere, cosí come eravamo ormai abituati a farlo.

Mi piace citare un filosofo italiano di straordinario valore: Umberto Galimberti. Galimberti, un grande del pensiero contemporaneo, giá aveva individuato all’inizio di questo secolo, uno dei principali problemi della contemporaneitá. Come ha scritto, siamo immersi in una crisi tale, che ha modificato la percezione del nostro futuro: siamo passati dal “futuro-promessa” al “futuro-minaccia”. Se questa affermazione ci sorprendeva alcuni anni fa, oggi conferma la principale espressione della pandemia a livello individuale: il futuro non ci appare come una meta desiderabile, un desiderio di maggiore successo o affermazione, ma come una oscura dimensione minacciosa. Abbiamo imparato con COVID ad avere paura del futuro.

“La psiche è sana - afferma Galimberti - quando è aperta al futuro. Quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora "il terribile è già accaduto", perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l'energia vitale implode”. 

L’affermazione é estremamente pessimista, ma nel mio caso - ottimista per natura - ne traggo motivo di stimolo, Dobbiamo trovare le capacitá per costruire il “nostro” futuro, nel mezzo dell’incertezza. Dobbiamo rafforzare la nostra “salute” interna, costruire un futuro che non dipenda dall’accesso al consumo o dai viaggi o da divertimenti futili. É ancora possibile costuire un “futuro-promessa” nella misura che dipenda piú dalla soddisfazione della nostra sensibilitá, che dall’appropiazione di beni materiali. I libri, la scrittura (anche la semplice scrittura di un diario), l’attenzione alle cose semplici e naturali possono aiutare a crescere internamente. 

In poche parole, dobbiamo imparare a riscrivere la trama della nostra vita - messa a rischio per tanti versi dal virus -, e avvicinarla ogni volta di piú al nostro “essere”, senza farla tanto dipendere dalle “cose”. Solo cosí potremo concepire una vita  non piú turbata dalle minacce del futuro.