Forse la nostra è soltanto fantapolitica o un semplice divertissement, ma ad ispirarci quella che può apparire nulla più che una esercitazione dialettica, è un duplice ordine di considerazioni: la prima è la convinzione che il dramma della pandemia che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo (guai ad abbassare la guardia: sarebbe un micidiale errore), è un evento destinato a cambiare molte cose e a lasciare una traccia considerevole anche nella vita delle istituzioni. Il secondo elemento, più strettamente legato agli avvenimenti contingenti, è che il mondo della politica continua ad essere dominato da un interrogativo destinato a dilatarsi ulteriormente nei mesi e nelle settimane a venire e per il quale dovrà pur essere trovata una soluzione.

Ci si chiede: Mario Draghi, come un tempo veniva prospettato, sia destinato a succedere, tra otto mesi, a Sergio Mattarella o è opportuno che rimanga alla presidenza del Consiglio per non abbandonare il lavoro positivamente intrapreso? Il "combinato disposto" di queste due motivazioni, apparentemente non collegate tra loro, ci suggerisce una domanda: non è possibile individuare una soluzione istituzionale che consenta a Mario Draghi di aumentare il proprio potere d'intervento, così da continuare a svolgere il ruolo di garante dell'Unione europea dato che questa ha lasciato chiaramente intendere che, senza di lui, appare restia a venire incontro alle esigenze dell'Italia?

Sappiamo che ben difficilmente le forze politiche accetterebbero di conferire dei superpoteri all'attuale capo del governo. Molti, infatti, già sostengono che Draghi stia espropriando in larga parte poteri che spettano ai partiti e certo non vedrebbero di buon'occhio - sia a destra, sia a sinistra - un aumento delle sue competenze istituzionali. Si prospetterebbe, di fatto, la vecchia contrapposizione tra repubblica presidenziale e repubblica parlamentare (che la Costituente sciolse in favore di quest'ultima) che, soprattutto da destra, è stata in questi anni a più riprese riproposta.

È pur vero che, stando all'antico principio del diritto romano, il diritto nasce dal fatto ("ex facto oritur jus") il che, trasferito in politica sta a significare che certe trasposizioni, anche di carattere istituzionale, avvengono, a volte, sulla scia di situazioni di fatto. Il cambiamento da sistema parlamentare a sistema presidenziale può davvero avvenire, allora, gradualmente, per dar conto di esigenze di carattere contingente? È assai difficile (forse potremmo dire addirittura impossibile) prefigurare che ciò avvenga. Ma l'esperienza insegna che eventi, anche clamorosi, possono avvenire all'improvviso, prescindendo dalle stesse volontà di coloro che dovrebbero realizzarli.

OTTORINO GURGO