Di OTTORINO GURGO

Uno degli interrogativi che il mondo politico quotidianamente si pone concerne il futuro di Mario Draghi. Ci si domanda: andrà alla presidenza della Repubblica o preferirà rimanere alla guida del governo per completare l'opera di ricostruzione appena avviata? Da qualche tempo, in particolare tra i fautori di questa seconda ipotesi, si prospetta la eventualità che Draghi possa dar vita, in tempi relativamente brevi, ad una autonoma formazione politica, destinata a raccogliere presso gli elettori quei consensi al di là degli schieramenti attuali sui quali l'opinione pubblica stenta a riconoscersi. Il partito dell'ex presidente della Banca centrale europea potrebbe essere quella forza politica moderata e progressista al tempo stesso, saldamente legata all'Unione europea, impegnata a favorire il rilancio dell'economia. Alla quale finora si è invano tentato di dar vita è che, probabilmente, otterrebbe il consenso della maggioranza degli elettori. Ci sia consentito esprimere, su una prospettiva di questo tipo, la nostra forte perplessità. A chi gioverebbe, e soprattutto gioverebbe al paese, se il presidente del Consiglio dovesse gettarsi nella mischia (che spesso si trasforma in rissa) dei partiti? Non ce la sentiamo di dare a questa domanda una risposta affermativa. Sia chiaro: non vogliamo, con questo, demonizzare il sistema dei partiti al quale riteniamo si debba applicare la medesima definizione che Winston Churchill dette quando gli venne chiesto il suo giudizio sulla democrazia: "è un sistema pessimo, ma non ne conosco di migliori". Draghi non può in alcun modo prescindere dalla collaborazione con le forze politiche che esprimono la volontà popolare, ma poiché si deve prendere atto che i partiti (ci si perdoni il luogo comune, ma purtroppo si tratta di una desolante verità) non sono più quelli di una volta, è assolutamente indispensabile che vi sia, al vertice del paese una personalità in grado, per il prestigio di cui gode e per l'unanime riconoscimento della sua autorevolezza, di costituire un punto di riferimento. Per riconoscimento pressoché unanime, questo punto di riferimento è stato individuato in Draghi. Perché, allora, rinunciarvi per confonderlo nella selvaggia ammucchiata dei partiti? Certo il discorso potrebbe essere diverso se la costituzione di un partito che avesse alla sua testa Draghi comportasse una semplificazione del quadro politico, vale a dire l'uscita di scena di forze che non hanno alcun progetto da realizzare e la cui presenza non ha altro scopo che quello di occupare una poltrona nella cosiddetta "stanza dei bottoni". Allo stato, tuttavia, una simile prospettiva ci sembra di là da venire. Aggrappati come sono al potere, i partiti non sembrano disponibili ad una operazione di questo tipo. Ecco perché, nella attuale situazione, pensare alla costituzione di un partito di Draghi non è una buona idea.