di Marco Lupis

A Qufu capita di prendere il taxi e sentirsi dire seriamente dal taxista che quello che ti sta portando in giro è un diretto discendente del grande saggio vissuto oltre due millenni e mezzo orsono: “alla 77esima generazione, per essere precisi!”. Del resto, pare che di discendenti viventi, nella Cina odierna, Confucio ne abbia a migliaia, almeno in questa cittadina nell’Est della Cina, Qufu appunto, città – una volta villaggio – dove più di 2500 anni fa (2572, per essere precisi), nacque il grande filosofo-pensatore. Tanto che, qualche anno fa, un intellettuale che dirigeva una accademia confuciana nella città di Guiyang, tale Jiang Qing, in un’intervista al New York Times propose la bizzarra idea di trasformare il sistema politico cinese in un sistema “tricamerale”: le prime due camere sarebbero state un po’ come le nostre Camera e Senato. La terza, invece, sarebbe stata riservata all’elezione dei soli… discendenti di Confucio (!).

E se - nell’imminenza delle gigantesche celebrazione per il centenario del Partito Comunista Cinese, il prossimo 1° luglio - si potesse fare un viaggio in Cina (oggi quasi impossibile causa chiusura delle frontiere post-pandemia), Qufu sarebbe uno dei “luoghi sacri” del Partito da visitare assolutamente, per cercare di capirne qualcosa di questo strano “comunismo 2.0”; quella “via cinese al socialismo, perseguita con incrollabile determinazione da Xi Jinping e dai suoi.

Sono in realtà due i culti emergenti che si affiancano a Qufu. Il primo, ovviamente, riguarda l’antico saggio semidivino cinese, il grande Confucio appunto. In un tempio in suo onore, i visitatori a turno si inchinano e si prostrano davanti a una grande statua che lo rappresenta seduto su un trono. Per ogni omaggio, un maestro di cerimonie canta un desiderio, per esempio per ottenere “successo negli esami” o “pace nel cuore” o, meglio ancora, “ricchezza e prosperità”. Dall’altra parte della città, la sua tomba è palcoscenico di simili adorazioni: fiori sempre freschi la adornano come se fosse quella di una persona amata recentemente perduta. C’è poi l’altro culto che si celebra a Qufu e che riguarda un uomo decisamente molto più vicino a noi: il presidente cinese Xi Jinping, sempre lui.

La gente ricorda ancora con emozione il viaggio che fece in città nel 2013. Xi, infatti, fu il primo capo del Partito comunista cinese a visitare Qufu e i luoghi di Confucio, e soprattutto il primo a non recarsi invece alla casa natale di Mao Zedong a Shaoshan – altro “luogo sacro” del Partito in Cina - nella provincia di Hunan, come avevano sempre fatto i suoi predecessori. Oggi i piatti decorati con l’immagine dell’“imperatore” Xi sono in vendita nei negozi di Qufu. La sua faccia raggiante è esposta su un grande cartellone all’esterno dell’Istituto di ricerca di Confucio, insieme a una sua citazione: “Nella diffusione del confucianesimo in tutto il mondo, la Cina deve proteggere pienamente il suo diritto di parlare”. Dalla sua ascesa al potere supremo in Cina, infatti, il presidente a vita Xi non ha perso occasione per insistere sui legami strettissimi – a suo dire – che esisterebbero tra le dottrine del saggio Confucio e quelle del Partito comunista al potere a Pechino. In una inedita “riapertura” ai sentimenti religiosi (anche se il confucianesimo non è una vera e propria religione secondo i nostri standard occidentali, è comunque un vero e proprio culto diffusissimo non soltanto in Cina ma in molti altri paesi asiatici, come Giappone e Corea del Sud) Xi ha più volte dichiarato che «i sentimenti religiosi, la fede e in particolare gli insegnamenti confuciani sono “in perfetta sintonia con l’evoluzione morale perseguita dal Partito”.

Del resto, almeno in Cina, il Comunismo è ancora – e forse più che mai – equiparato a una sorta di “culto universale sincretistico”, che secondo Xi può e deve riunire e sintetizzare qualsiasi cosa. Dopo la forte spinta “confuciana” voluta dalla dirigenza guidata da Xi Jinping, infatti, Pechino ha messo in opera ormai una politica di controllo totale delle religioni “tramite assimilazione” di tutte le fedi presenti nel grande paese, che malgrado la fortissima repressione iniziata nell’epoca maoista e proseguita senza cedimenti, sono caparbiamente sopravvissute fino a oggi. Cristianesimo, buddismo, confucianesimo, taoismo, islamismo, tutto deve venire disciplinato, cinesizzato e adattato alle regole della “via cinese al socialismo”: assimilare per reprimere, insomma.

Da Qufu, poi, sarà opportuno mettersi comunque sulle tracce del “quattro volte grande” - “Grande Maestro, Grande Capo, Grande Comandante Supremo e Grande Timoniere” - Mao Zedong, non necessariamente per recarsi a visitare la sua città natale – sarebbe una scelta davvero un po’ troppo scontata e, direi, “didascalica” – quanto per andare a guardarsi un po’ in giro in una cittadina collinare nella provincia nord-occidentale dello Shaanxi: negli annali del Partito Comunista Cinese, infatti, nessun luogo è più sacro di Yan’an.

Come ho detto, il PCC potrà può vantarsi di essere ateo, almeno ufficialmente, ma l’ulteriore dimostrazione della sua ormai compiuta trasformazione in una “fede rossa”, sta anche nella costatazione che la narrativa che lo racconta ormai non si fa scrupolo nel descrivere Yan’an come una “terra santa rivoluzionaria”. I membri del partito e la gente comune vi si recano come pellegrini, molti vestiti con i costumi blu, come quelli dell’Armata Rossa. Fu lì che Mao Zedong e altri leader del partito stabilirono la principale base rivoluzionaria nel 1935, dopo la Lunga Marcia, e dove trascorsero 13 anni a forgiare quell’Armata Rossa – allora non molto più che un’accozzaglia disordinata e semi-anarchica - trasformandola in quel potente Esercito di Liberazione Popolare che poi essi portarono a prendere il controllo assoluto del paese, fino alla fondazione della Repubblica popolare, nel 1949. Ma Yan’an è anche il luogo in cui gli americani Edgar e Helen Foster Snow incontrarono Mao.

Nel 1936, Snow divenne il primo reporter americano ad entrare nel territorio rosso, dove trascorse molte notti a parlare con Mao e altri leader di partito. Quelle conversazioni portarono alla pubblicazione del suo famoso libro “Red Star Over China – Stella Rossa sulla Cina”, che diede al mondo esterno, per la prima volta, una comprensione del Partito e di Mao. Ovviamente, oggi la Cina vede un grande valore propagandistico nel commemorare l’eredità di Snow, poiché celebra il centenario del partito in un momento in cui i suoi legami con gli Stati Uniti e altri paesi occidentali sono crollati ai minimi livelli storici.

Oggi Yan’an ha acquisito un aspetto moderno, costellata di grattacieli residenziali e uffici, ma i “luoghi sacri del Partito”, sono stati accuratamente conservati, come fossero templi di un culto ateo, appunto. Tanto che attualmente la città ospita ben 445 siti delle prime attività rivoluzionarie del partito e 30 musei sullo stesso tema celebrativo. Praticamente, La Mecca del comunismo cinese.

Girando per la città, non si può fare a meno di notare la fitta vegetazione che ricopre le dolci colline che circondano la stretta fascia del centro cittadino, dove trovane posto le principali attrazioni turistico-rivoluzionarie del luogo: le abitazioni rupestri di Mao. Durante i suoi 13 anni a Yan’an, Mao visse in diverse case rupestri. I siti di quelle di Zaoyuan e Yangjialing sono i più impressionanti. A Yangjialing, la sua dimora occupa due grotte e presenta una scrivania in legno, due sedie a sdraio, un letto e un ritratto di famiglia su una parete, che lo mostra con la sua quarta moglie Jiang Qing e uno dei loro figli. Nel cortile, un cartello accanto a un grande tavolo in pietra spiega che lì è dove Mao fu intervistato dalla giornalista americana Anna Louise Strong nel 1946, e in quell’occasione pronunciò uno dei suoi detti più famosi: “Tutti i reazionari sono tigri di carta”.

Le guide turistiche portano i visitatori in giro per i luoghi sacri del Partito e si concentrano sulla narrazione ufficiale che ricorda come Mao e altri leader vissero una vita semplice lavorando instancabilmente per il partito e per il popolo, tralasciando qualsiasi riferimento agli errori - e agli orrori – passati, causati dalla politica brutale dell’ideologia comunista, cieca e spietata. Per esempio, viene accuratamente omesso il racconto nel quale Liu Zhidan e il padre dell’attuale presidente, Xi Zhongxun – giovani rivoluzionari che per primi stabilirono una base a Yan’an prima dell’arrivo di Mao – vennero epurati e quasi sepolti vivi in una delle sanguinose lotte di potere dell’epoca. E del resto, un viaggio a Yan’an non sarebbe completo senza fare un pellegrinaggio al villaggio montuoso di Liangjiahe, a un’ora e mezza di macchina. È lì che un giovanissimo Xi Jinping arrivò nel 1969, all’età di 15 anni. Oggi le colline circostanti sono ricoperte da una vegetazione lussureggiante, ed ecologici veicoli elettrici trasportano i visitatori su strade asfaltate nel cuore del villaggio, dove le case rupestri in cui ha vissuto Xi sono ben mantenute per accogliere i numerosissimi visitatori.

Ma l’atmosfera celebrativa delle sale espositive non può evitare di dipingere un quadro cupo dei sette anni trascorsi lì dal futuro presidente-imperatore della Cina: senza elettricità o acqua corrente, e quasi mai abbastanza cibo e carne sul tavolo. In larga misura, la vita di Xi non era molto diversa da quella di suo padre a Yan’an più di 30 anni prima, anche se, nel frattempo, erano passati 20 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare. Durante gran parte del soggiorno, Xi condivise una grotta con altri cinque o sei “compagni”, dormendo vicini l’uno all’altro sul kang, una piattaforma infestata dalle pulci fatta di mattoni e argilla. I funzionari del villaggio e le guide turistiche oggi intrattengono i visitatori con i racconti di come Xi, nonostante la sua giovane età, dimostrò già allora di essere un leader, creando stretti legami con gli abitanti del villaggio, insegnando loro a leggere e scrivere e a scavare un pozzo per l’acqua potabile.

In una delle grotte in cui Xi ha vissuto, c’è una nota scritta a mano, l’approvazione del suo ingresso, nel 1974, come membro del partito, lo stesso anno in cui venne nominato segretario del partito del villaggio, a soli 20 anni di età. Secondo quanto riferito, Xi aveva presentato più di 10 domande di adesione al partito comunista, ma era stato sempre respinto, presumibilmente perché suo padre era stato nuovamente epurato durante la Rivoluzione Culturale di Mao. Nel 2015, Xi Jinping ha fatto un trionfante ritorno nel villaggio come capo di stato cinese, affermando che nel periodo della sua vita trascorso a Liangjiahe ha appreso più di quanto abbia potuto insegnargli l’istruzione universitaria.

Il villaggio non aveva elettricità fino al 1988 quando Xi, allora un alto funzionario a Xiamen, si adoperò personalmente perché la situazione cambiasse. Ma malgrado i suoi sforzi, solo due decenni dopo, gli abitanti hanno finalmente avuto l’acqua corrente.