di Fulvio Abbate

La domanda è doverosa: Giuseppe Conte esiste ancora davvero?

Diversamente da quel Dio evocato dallo spray sui cartelli autostradali, Conte “non c’è”, o comunque, sia detto senza polemica, non sembra affatto certa la sua reale necessità nella realtà politica del Palazzo. Si deve a Ernst Renan, filosofo francese ottocentesco, una frase capitale destinata a certificare ulteriormente il nostro pensiero prossimo a una confutazione: “Tutto è possibile, perfino Dio”. Bene, tornando allo scetticismo sull’oggetto di curiosità istituzionale si ha invece la sensazione, nonostante l’ampia rassegna stampa che ancora tratta di lui, addirittura evocandone un prevedibile ritorno sul carro del trionfo personale, non più subalterno ai Di Maio e altri, si ha davvero la convinzione che questa stessa frase non possa attagliarsi al caso Conte.

L’avvocato, ricordiamo, appare nel viale tutto in discesa della politica, così come il guascone D’Artagnan raggiunge Parigi con una lettera di presentazione di monsieur de Tréville, è l’inizio dei “Tre moschettieri”. Nel caso di Giuseppe Conte, sembra che la “raccomandazione” riferibile “al latore della presente” giungesse invece dal giurista Guido Alpa. Con Conte destinato presentarsi davanti al portone del Movimento 5 Stelle nella prospettiva di un immediato garantito ruolo apicale, presidente del Consiglio dei ministri. La faccia perfetta sorteggiata per le circostanze, uomo giusto al momento giusto.

Peccato che tutto ciò appaia ormai a molti come un dettaglio sovrastrutturale, cinema politico d’essai. La sostanza dell’intera questione verte, almeno nella situazione data odierna, su un altro nodo: dopo l’arrivo di Mario Draghi e il rimescolamento di molte carte perfino interne a coloro che lo cooptarono, Giuseppe Conte davvero va ritenuto una figura necessaria? Sia detto andando oltre le pulsioni narcisistiche del soggetto. E anche ignorando i Rocco Casalino, figuranti di sfondo, ininfluenti se non nell’avanspettacolo dei “meme”. Insomma, in questa nuova fase, possiamo avere il sospetto che ogni accenno all’esistenza di Conte sia soltanto una forma di accanimento giornalistico? Accanimento da parte dei cronisti, ancor prima che politico, sia chiaro. Dove perfino le lunghe discussioni sulla possibilità che gli sia concesso il contrassegno dagli (ex) amici pentastellati, a loro volta in affanno di consensi, sembrano oziose. Lo stesso vale per lo scontro in atto tra il nostro e Beppe Grillo. Adesso qualcuno potrà obiettare che pure di quest’ultimo manca contezza della sua esistenza. Di Grillo, se non altro, la nostra memoria custodisce percezione della salopette degli esordi da comico, certo, un’immagine che, almeno agli occhi dei più colti, rimanda alla giacca fantasmatica disegnata da Dino Buzzati per i suoi romanzi spettrali.

Tornando Giuseppe Conte sembrano oziosi davvero quel genere di commenti tra cinismo satirico che ne contempla ora la pochette, ora la pettinatura, ora la fede in Padre Pio. Anche in questo caso, affidiamo le minuzie ad altri, anzi, se è concessa una citazione ulteriore, restando in tema, Erik Satie afferma che “non abbiamo più bisogno di chiamarci artisti, lasciamo questa splendida parola ai parrucchieri e pedicure”.

Alla fine, il dubbio è se Conte sia presente ormai soltanto nei calcoli ordinari di chi ne ha immaginato addirittura la persistenza sul piano inclinato e insaponato dei giochi senza frontiere politici, cioè i Marco Travaglio. Oppure, sentenza crudele e insieme ordinaria: nessuno è indispensabile, dunque la sua storia politica si è già conclusa con una frase ricevuta dagli stessi che lo aveva illuso circa un futuro politico gratificante: grazie di tutto, avvocato, lei intanto può andare, le faremo sapere.