La visita di Sergio Mattarella a Parigi illustra il trionfo dell'azione di politica estera della presidenza della Repubblica che è riuscita a fare uscire i rapporti bilaterali con la Francia dal marasma per portarli a un nuovo apice. Inoltre, il discorso della Sorbona del presidente italiano risponde anche a quello pronunciato da Emmanuel Macron nel 2017 illustrando la visione di un'Europa che deve proseguire il cammino dell'integrazione.

Sergio Mattarella è stato ricevuto con grande onore a Parigi. Dall'accoglienza da parte di Barbara Pompili, ministra della Transizione ecologica con origini italiane, fino agli incontri con i presidenti del Senato e dell'Assemblea nazionale, con la sindaca di Parigi Anne Hidalgo e con il primo ministro Jean Castex, il presidente Mattarella è stato ricevuto da tutte le cariche apicali. Ha poi condiviso l'agenda con Macron, con un pranzo di stato nel salone delle feste dell'Eliseo che è stato un memorabile momento di gastronomia e convivialità. Lì un Macron molto ispirato ha potuto esprimere la sua visione culturale e storica del rapporto con l'Italia vedendo poi Sergio Mattarella rispondere con un richiamo alle necessità della politica europea.

Paradossalmente è stato il presidente italiano, spesso descritto come un garante, che ha insistito sull'importanza politica sia del rapporto bilaterale con la Francia sia delle convergenze in Europa. Con questo viaggio Sergio Mattarella completa il percorso avviato nel maggio 2019, quando si recò a Chambord per le celebrazioni dell'anniversario della morte di Leonardo da Vinci per riprendere un rapporto bilaterale allora in profonda crisi.

Mattarella è stato il paziente garante dell'europeismo italiano e della ritessitura di un rapporto con la Francia. Su quest'ultimo punto i progressi sono stati notevoli. Nel febbraio 2019 veniva richiamato a Parigi l'ambasciatore Christian Masset a seguito dell'incontro dell'allora vicepremier Luigi Di Maio con un comitato di gilet gialli. Oggi la visita di Stato di Mattarella simbolizza un rilancio che passa per la firma di un trattato di cooperazione bilaterale. L'idea che un trattato potesse fornire un utile strumento di conciliazione era emersa nel 2017 con l'inizio della presidenza Macron che aveva visto i temi della migrazione, l'acquisizione di Stx da parte di Fincantieri e dell'instabilità in Libia creare una concatenazione di screzi fra Roma e Parigi.

All'inizio del 2018 furono lanciati i lavori stabilendo una commissione mista italo-francese, uno sforzo poi velocemente arenato con il cambio di clima dell'esecutivo creatosi con l'esecutivo Conte 1 che si tradusse in un antagonismo fra i due governi, incarnato dall'opposizione fra Emmanuel Macron e Matteo Salvini. Dal governo Conte 2 in poi, i rapporti bilaterali hanno ripreso una forma di normalità, con il summit di Napoli del febbraio 2020 che sancì un vero e proprio rilancio e una ripresa di una comunicazione a livello ministeriale. Anche il trattato bilaterale fu rilanciato in questo contesto, con un lavoro svolto dalle rispettive diplomazie.

L'azione decisiva della Francia a favore del piano di rilancio europeo annunciato nel maggio 2020 ha rappresentato un fattore che ha permesso di creare una dinamica positiva con l'Italia, contrastando le percezioni negative precedenti. Il governo Draghi ha poi rappresentato un ulteriore progresso, per certi versi una svolta, in termini di autorevolezza e di capacità di tornare protagonista nel contesto europeo e transatlantico.

Ed è in questo contesto di forte crescita del profilo internazionale dell'Italia, che beneficia anche dal vuoto creato dalla Brexit, che si inserisce il viaggio di Mattarella a Parigi. Una tappa durante la quale il capo dello Stato fa fortissimi richiami al proseguimento dell'integrazione europea, ma vigila anche sul rapporto bilaterale, con un invito a chiudere i lavori del trattato entro la fine dell'anno. Si tratta di un monito utilissimo, sapendo che le diplomazie al lavoro hanno per il momento partorito due testi diversi, con una Francia che insiste su un impianto di istituzionalizzazione del rapporto per beneficiare di meccanismi paragonabili a quelli franco-tedeschi mentre l'Italia vuole concentrarsi su progetti e sembra esprimere una forma di rigetto per l'approccio francese. Un compromesso al ribasso sarebbe un risultato davvero minore considerando la priorità politica espressa dai rispettivi presidenti della Repubblica.

Bisogna rilevare che l'istituzionalizzazione di un rapporto bilaterale concepito come leva nel contesto europeo rappresenta una vera e propria novità per l'Italia, che probabilmente disturba una certa visione diplomatica abituata al multilateralismo o a forme di bilateralismo "non integrate", ad esempio con gli Usa, e che non determinano meccanismi di compromessi. L'adozione di strumenti istituzionali nel contesto di un trattato italo-francese non soltanto aumenta le capacità di fare valere e pesare le proprie posizioni in ambito europeo – un aspetto non trascurabile né per l'Italia ne per la Francia nell'attuale contesto -, ma implica anche una forma di convergenza trasformativa fra i due Paesi, una capacità di realizzare dei meccanismi stabili di consultazione governativa, amministrativa e parlamentare, che crea cinghie di trasmissioni permanenti.

Questo implica anche accettare di riconoscere la validità della permanente dialettica dell'alterità, una delle grandi qualità del rapporto franco-tedesco dal trattato dell'Eliseo in poi, che spiega perché l'insieme degli attori coinvolti ne sottolinei la bontà. Un elemento nettamente più raffinato e progressista che il semplice "asse" che viene troppo spesso evocato da alcuni italiani. Sergio Mattarella si è molto speso a Parigi, insieme a Emmanuel Macron, per ricordare quanto l'orizzonte europeo rappresenti il nostro ideale ma anche una concreta necessità. Il rinnovo delle relazioni bilaterali, non intese come gioco di potenze ma come un rapporto integrativo, fa parte di questo cammino. Bisogna quindi augurarsi che questo magistero venga seguito e tradotto in passi concreti, anche in Italia.

di Jean Pierre Darnis