I toni trionfalistici di politici e commentatori sulla crescita dell’economia italiana fanno il paio con i festeggiamenti per le medaglie azzurre alle Olimpiadi. La differenza è che, mentre l’entusiasmo per queste ben si giustifica con l’evidenza del medagliere, l’esultanza per la crescita non ha ragion d’essere, almeno per come sbandierata fin qui. Cerchiamo di capire cos’è successo. L’Istat ha pubblicato i dati sull’andamento del Pil nel secondo trimestre di quest’anno, che mostrano un tasso di crescita apparentemente molto elevato, anche rispetto ad altri Paesi europei, ad iniziare dalla Germania: Italia + 2,7 per cento, Germania + 1,5.

Di qui l’enfasi nostrana: l’Italia cresce più dei teutonici, torna ad essere la locomotiva europea, e via cantando. Le cose però non stanno in questi termini. L’interpretazione corretta di quei dati, infatti, dimostra come la crescita, pure da essi misurata, sia in realtà frutto di un’illusione matematica. La variazione al rialzo discende, molto semplicemente, dalle riaperture e dal riavvio della produzione ed esprime perciò la tendenza inversa alla decrescita (infelice) registrata nei mesi precedenti, in misure anche molto diverse fra i singoli Paesi.

Se nel trimestre dell’anno precedente, ad esempio, l’economia italiana fosse passata da 1000 a 800 e poi, nell’ultimo trimestre, fosse aumentata di 200, la crescita apparirebbe sbalorditiva: del 25 per cento. Invece, se l’economia di un altro Stato fosse diminuita, sempre a causa della pandemia, da 1000 a 900 e poi anch’essa risalita di 200, la sua ripresa sembrerebbe più modesta, pari al 22 per cento. Un po’ quel che si può riscontrare mettendo a confronto i dati dell’economia italiana e quelli relativi all’economia tedesca: nell’annus horribilis 2020, la prima ha infatti perso il 9 per cento, la seconda il 5. In termini di crescita effettiva, dunque, le percentuali recentemente sfornate dall’Istat dimostrano poco o nulla, perché quantificano semplicemente le ripartenze dei consumi e della produzione rispetto alla decrescita da questi subita nei mesi trascorsi.

Esprimono, per dirla in parole semplici, l’avvicinamento tendenziale alle grandezze pre-pandemiche delle ricchezze che i singoli Paesi stanno via via tornando a produrre. Intendiamoci, qui non si vogliono buttare via né il bambino, né l’acqua sporca. Non si vogliono buttar via o considerare irrilevanti, cioè, né la ripartenza, né le misure finora adottate per sostenerla. Si vuole solo mettere in evidenza che la gran cassa di questi giorni è fuori tono, tanto quella suonata dai politici, tanto quella del mainstream mediatico. La speranza della stabilizzazione economica, dunque, non si è ancora trasformata in realtà, la zucca non è ancora carrozza. E perché lo diventi non basteranno né i duecento miliardi del “Next generation Ue”, né la copertura vaccinale di massa. Misure essenziali, queste, sia chiaro, ma insufficienti. Il “miracolo” sarà possibile solo se al fiume di denaro europeo e alla vaccinazione si uniranno riforme radicali ispirate alle libertà economiche e salvaguardate dalla ragionevole equità.

ALESSANDRO GIOVANNINI