Di Stefano Casini

La mattina dell'8 Agosto del 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio avvenne una delle tragedia più discusse del ventesimo secolo.

Fu un incendio, causato dalla combustione d'olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. L'incendio, che scoppió nel condotto d'entrata d'aria principale, riempì di fumo l'impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani. L'incidente è il terzo per numero di vittime tra gli immigrati italiani all'estero dopo i disastri di Monongha e di Dawson. Il sito Bois du Cazier, fa parte dei patrimoni storici dell'UNESCO ed è stato dismesso. Anche se l'industria belga fu scarsamente pregiudicata dagli effetti distruttivi della seconda guerra mondiale, il Belgio, si ritrovò con poca manodopera locale, soprattutto per il lavoro in miniera. Il 23 giugno 1946 fu firmato il "Protocollo italo-belga" che prevedeva l'invio di 50.000 lavoratori in cambio di carbone. Fu cosí che nacquero grandi flussi migratori verso il paese europeo, uno dei quali, forse il più importante, fu quello degli italiani. Nel 1956, fra i 142.000 minatori impiegati, 63,000 erano stranieri e di questi ben 44.000 erano italiani.

Il "pozzo I" della miniera di Marcinelle era in funzione dal 1830 e non è giusto affermare che fosse privo delle più elementari norme di sicurezza ma, di certo, la sua manutenzione era ridotta al minimo necessario, soprattutto per il fatto che era passato più di un secolo dalla sua costruzione.

Questo pozzo serviva da canale d'entrata per l'aria. Il "pozzo II", invece, operava come canale d'uscita per l'aria. Il "pozzo III", in costruzione, aveva delle gallerie connesse con i primi due, ma erano state chiuse per diverse ragioni. Gli ascensori erano azionati da potenti motori posti all'esterno. In alto, su grandi tralicci metallici, erano poste due enormi ruote che sostenevano i cavi degli ascensori. La maggior parte delle strutture del pozzo era in legno, perché, da sempre, il legno era il materiale più impiegato, ma anche perché, a una tale profondità, il cavo dell'ascensore avrebbe potuto oscillare in modo tale da giungere a strisciare sulle traverse. Per evitare l'usura prematura del cavo, si dava preferenza alle strutture in legno. L'aerazione era assicurata da grandi ventilatori, posti all'esterno, che aspiravano l'aria viziata tramite il "pozzo II".

Alle 7:56 dell'8 agosto, Antonio, addetto alle manovre del livello a 975 m, una volta caricato l'ultimo carrello pieno, ordinó la rimonta. Poi lasció il suo posto di lavoro per andare alla ricerca di altri carrelli pieni; il suo aiutante Vaussort rimase sul posto.

Verso le 8:00 un tal Mauroy, addetto alle manovre in superficie, fece una telefonata a Vaussort poiché aveva bisogno dell'ascensore per il piano 765 m. Mauroy e Vaussort fecero un accordo previsto dai protocolli di lavoro che, in seguito, risultó fatale. Alle 8:05 uno dei due ascensori arrivó al piano 765 m per la carica. L'altro si trovava nel pozzo sui 350 m.

Alle 8:07 il primo ascensore venne caricato per rimontare in superficie, mentre il secondo ridiscese a 975 m. Durante questa operazione Antonio tornó al suo posto di lavoro. Qui vi sono due diverse versioni. Secondo Antonio, avrebbe chiesto al suo aiutante Vaussort se poteva caricare, ricevendo un SI, mentre, secondo Mauroy, Vaussort era ancora assente e quindi non avrebbe potuto autorizzare Antonio a caricare e neppure avvertirlo che quell'ascensore gli era vietato. Nessuna delle due versioni è totalmente soddisfacente. Vaussort morÍ nella sciagura e non potrà quindi essere un testimone e confermare una delle due versioni o fornirne un'altra.

Alle 8:10 il primo ascensore giunse in superficie, mentre il secondo arrivava al livello 975. Ignaro del fatto che quell'ascensore gli fosse vietato, Antonio cominció a caricare i vagoni pieni, giunti dai cantieri durante la sua assenza, ma la manovra non funzionó e il sistema che bloccava il carrello durante la rimonta dell'ascensore si bloccó, quando proprio questo sistema doveva ritirarsi per un istante per lasciare uscire totalmente il vagonevuoto. Ma ciò non accadde ed i due vagoni si ritrovarono bloccati e sporgenti dal compartimento dell'ascensore.

Il vagone vuoto sporgeva di 35 cm, mentre quello pieno sporgeva di 80 cm. Per Antonio la situazione era controllabile perché era sicuro che l'ascensore non sarebbe partito senza il suo segnale di partenza. In superficie Mauroy ignoró la situazione verificatasi al piano 975 m. e fece partire l'ascensore quando avesse finito di scaricare i vagoni rimontati dal piano 765 m.

Alle 8:11 Mauroy scaricó l'ascensore principale e dette il via alla partenza che, inevitabilmenteprovocó la partenza del secondo ascensore. Al piano 975 m Antonio vide l'ascensore rimontare bruscamente. Nella risalita l'ascensore, con i due vagoni sporgenti, colpí fortemente il sistema di invio. La putrella taglióuna condotta d'olio a 6 kg/cm² di pressione, i fili telefonici e due cavi in tensione (525 Volt), oltre alle condotte dell'aria compressa che servivano per gli strumenti di lavoro usati in fondo alla miniera. Tutto questo provocó un imponente incendio. Essendo questo avvenuto nel pozzo di entrata dell'aria, il fumo raggiunge ogni angolo della miniera, causando la morte dei minatori. In quanto al fuoco, la sua presenza si limitò ai due pozz, ma il suo ruolo fu determinante perché tagliò ogni via d'accesso nelle prime ore cruciali, fra le 9 e le 12.

L'incendio non scese sotto il piano 975 m, ma divampò nei pozzi fino al piano 715 m. Verso le 8:30 un funzionario di cognome Votquenne era pronto a scendere, ma il freno d'emergenza era bloccato per mancanza di pressione d'aria, allora ordinó la chiusura della condotta d'aria che scendeva nel pozzo. Impiegarono più di 10 minuti per ristabilire una pressione sufficiente. Votquenne con il suo compagno Matton scesero senza equipaggiamento fino agli 835 metri, ma rinunciarono per via del fumo. Nel frattempo 6 minatori superstiti arrivarono in superficie. Alle 8:35, un tal Calicis telefonó alla centrale di soccorso chiedendo di tenersi pronti precisando che avrebbe richiamato in caso di bisogno.

Alle 8:48 Calicis chiese l'intervento della centrale di soccorso che distava un chilometro e mezzo dalla miniera. I soccorritori impiegarono 10 minuti per arrivare. Alle 8:58 la prima squadra di soccorritori giunse sul posto, mentre Votquenne e uno dei soccorritori equipaggiati con i respiratori fecero un secondo tentativo, arrivando a 1035 metri, ma senza riuscire ad uscire dall'ascensore, in quanto i suoi occupanti erano montati nel terzo compartimento dell'ascensore fermo a 3,5 m più in alto del livello di uscita. Udirono dei lamenti, ma l'addetto alle manovre non risposepiù alle chiamate sicuramente già incosciente. Votquenne vide che le fiamme avevano raggiunto l'ultima delle tre porte di sbarramento fra i due pozzi. Verso le 9:10 il pozzo di estrazione dell'aria era a sua volta inutilizzabile, raggiunto dall'incendio. I cavi degli ascensori di questo pozzo cedettero a poco a poco. Il primo si spezzò verso le 9:30, il secondo cavo si spezzò verso le 10:15. Verso le 9:30 due persone tentarono, senza equipaggiamento, di farsi strada attraverso un tunnel laterale comunicante col pozzo in costruzione al livello 765 m. Il denominato "passo d'uomo" venne allargato solo quattro ore e mezza più tardi e ciò permise di scoprire i primi cadaveri. Fu verso le 9:30 che si decise di fermare la ventilazione. Solo verso le 15:00 una spedizione scese per scoprire i primi tre sopravvissuti. Gli ultimi tre furono scoperti più tardi, da un'altra spedizione.

Soltanto il 22 agosto del 1956 dopo una risalita, uno di coloro che da due settimane tentavano il salvataggio dichiarò in italiano: «tutti cadaveri». Persero la vita 262 uomini, di cui 136 italiani e 95 belgi. I sopravvissuti furono solo 13 minatori.

La mobilitazione fu generale. Croce Rossa, Vigili del fuoco, Protezione civile, l'esercito e la polizia (ma anche semplici cittadini) unirono le loro forze ma, ormai, la tragedia era avvenuta. La notte del 22 agosto, svanirono le ultime speranze. Il giorno 8 agosto intanto la giustizia aveva avviat un'inchiesta. Il 13 agosto furono sepolte le prime vittime. Il 25 agosto, il ministro dell'economia Jean Rey creò una commissione d'inchiesta, alla quale presero parte due ingegneri italiani del Corpo delle Miniere Italiane. Anche la confederazione dei produttori di carbone creò la sua inchiesta amministrativa. Queste tre inchieste dovevano fare "ogni luce" su cosa era accaduto nel pozzo St. Charles di Marcinelle il mattino dell'8 agosto 1956. Purtroppo nessuna di queste istituzioni mantenne pienamente le sue promesse.

Una storia tristissima per l'umanità in generale e per l'Italia in particolare. Una tragedia che ha lasciato una profonda impronta nella storia italiana e che si ricorda tutti gli anni.