La riconquista dell'Afghanistan da parte dei talebani pone nuove sfide alla Russia e ai suoi alleati dell’Asia centrale come il Tagikistan, il Kirghizistan e l’Uzbekistan. La presenza degli americani in Afghanistan costituiva una garanzia dell’esistenza di misure antiterrorismo anche a beneficio dei vicini dell’Asia centrale. Ma dopo il ritorno a Kabul degli “studenti coranici” si sta creando un vuoto di sicurezza che questi ultimi potrebbero non essere capaci di colmare nonostante le dichiarazioni rassicuranti sulla loro intenzione di non consentire ad alcuna organizzazione di utilizzare l’Afghanistan per attività terroristiche. Tuttavia la vittoria dei talebani sembra ispirare l’entusiasmo di terroristi e gruppi armati fondamentalisti in tutto il Medio Oriente. Sono infatti in aumento rapporti che parlano di combattenti jihadisti stranieri presenti nel paese centro-asiatico.

Kabul era l’ex roccaforte e capitale dei talebani quando erano al potere tra il 1996 e il 2001, dove il fondatore di al-Qaeda, Osama bin Laden, si recò nel 1999 e dove, assieme al terrorista giordano Abu Musab al-Zarqawi, creò una base della sua organizzazione terroristica. Ancora oggi, secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, al-Qaeda è presente in almeno 15 province afghane e «opera sotto la protezione dei talebani nelle province di Kandahar, Helmand e Nimruz». E una serie vertiginosa di gruppi armati stranieri ha collaborato con i talebani o ha combattuto fino al 15 agosto sotto la bandiera dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.

Come è noto alla fine degli anni 90 questo paese, sotto il regime talebano, servì come campo di addestramento per alcuni di coloro che sarebbero poi entrati a far parte dello stato islamico, annunciato ufficialmente in Iraq e Siria nel 2013 e di cui al-Qaida fu il precursore.

Dichiarato sconfitto in Iraq nel 2017, Isis ha perso nel 2019 l’ultimo territorio che possedeva in Siria nella provincia orientale di Deir ez-Zor, ma sue sono ancora presenti in alcune zone rurali, nei deserti e nelle montagne dove cercano di riorganizzarsi.

Ora in Iraq per i jihadisti c’è molto meno spazio di manovra di quanto ve ne sia in un Afghanistan guidato dai talebani. E il fatto che subito dopo l’uscita dal paese dell’ultimo soldato americano siano ricomparsi in pubblico personaggi di spicco del clan Haqqani, notoriamente vicini ai talebani e ad al-Qaida, non sembra promettere nulla di buono.

La mattina del 31 agosto è comparso all’aeroporto di Kabul Anas Haqqani, figlio minore del comandante Jalaluddin Haqqani, che aveva combattuto sia contro i sovietici che contro gli americani, e fratello di Sirajuddin Haqqani, capo della rete Haqqani, gruppo fondamentalista insurrezionalista attivo in Afghanistan e Pakistan. Il giorno precedente il dottor Amin-ul-Haq, altra figura di spicco di al-Qaida, già responsabile della sicurezza di Bin Laden a Tora Bora, era tornato dal Pakistan nella sua provincia natale di Nangarhar.

Ora che gli americani se ne sono andati, i talebani sembrano non avere più alcuno scrupolo a mostrare il loro stretto legame con al-Qaida pur avendo dichiarato che non avrebbero permesso a questa organizzazione di usare il loro paese per attività terroristiche. Pare evidente che per onorare le loro promesse i talebani dovranno prendere nettamente le distanze da al-Qaida con la conseguenza che ciò potrebbe indurre alcuni membri di questa organizzazione a trasmigrare nelle file dell’Isis del Khorasan, ramo afghano dello stato islamico nel quale, come è noto, sono già affluiti molti jihadisti stranieri, dal Pakistan, all’India, fino al Medio Oriente e all’Asia centrale.

Gli attacchi kamikaze del 26 agosto, davanti a uno degli ingressi dell’aeroporto di Kabul, hanno dimostrato che la sicurezza nella capitale afghana ha iniziato a deteriorarsi drasticamente con il ritorno dei talebani.

Il Cremlino avrebbe indicato delle linee rosse agli studenti coranici, il rispetto delle quali ne determinerà il riconoscimento. La Russia spera che i talebani siano in grado di garantire la sicurezza con la distruzione delle cellule terroristiche. Ma in un paese profondamente diviso lungo linee di fratture etniche e religiose, in cui tribù locali di diverse etnie controllano parti di territorio, il rischio che l’Afghanistan torni a essere una base per il jihadismo salafita internazionale è molto elevato. E la ragione potrebbe individuarsi non solo nelle “lacune” della capacità dei talebani di esercitare un potere inclusivo, ma anche nell’indisponibilità di alcuni gruppi all’interno del movimento fondamentalista, che hanno visioni e obiettivi diversi dalla leadership, di prendere le distanze dal terrorismo.

Ad esempio, la cosiddetta shura, o consiglio di Peshawar, degli studenti coranici, è diventata una copertura per le attività dell’oscuro Network Haqqani.  Quest’ultimo è il sottogruppo dei talebani più ideologicamente vicino ad al-Qaeda e in passato ha usato attentatori suicidi per attaccare obiettivi civili. Inoltre nell’esercito talebano ci sono jihadisti della cosiddetta Brigata 055, un’organizzazione interamente composta da militanti di al-Qaeda, integrata nel movimento tra il 1995 e il 2001, macchiatasi di numerosi crimini contro civili afgani.

Diversi rapporti del “Programma Siria” del Middle East Institute, così come quelli ONU, rilevano che negli ultimi anni i talebani sono stati attivamente in contatto con il nucleo di al-Qaeda e con il suo ramo autonomo del subcontinente indiano in ben 15 province del Paese, tra le quali quelle di Helmand e Kandahar. Recentemente al-Qaeda ha rafforzato la sua presenza anche a Badakhshan, provincia nell’est del Paese che confina con il Tagikistan. E ci sono altre aree in cui è dimostrata la presenza di al-Qaeda, tra cui la contea di Barmal nella provincia orientale afghana di Paktika dove domina la rete Haqqani.

Mentre i talebani prendevano il controllo delle province senza difficoltà, la prima cosa che hanno fatto è stata di liberare membri di al-Qaeda e del Tehrik-e-Taliban Pakistan (Movimento dei talebani del Pakistan, TTP) che erano stipati nelle prigioni di Bagram e di Pul-e-Charkhi. Il leader del TTP, Nur Veli Mehsud, ha subito dopo pubblicato un messaggio: «Vorrei congratularmi con il leader dei credenti, Hibatullah Ahunzade, a nome dei mujaheddin del TTP per questa benedetta vittoria». Un altro leader, fondatore del TTP, Mevlevi Fakir Muhammed, si è rivolto ai suoi sostenitori dopo essere stato rilasciato dalla prigione di Kunar, lodando Allah per la vittoria dei talebani e dicendo che i problemi per i mujaheddin erano finiti.

Il Movimento dei talebani del Pakistan (TTP) è una organizzazione terroristica che mira a rovesciare lo stato pakistano per fondare un emirato islamico e ora Islamabad è molto preoccupata per la protezione che i talebani afghani riservono ai militanti del TTP. Anche il più grande partito islamista del Pakistan, Jamiat Ulema-e Islam, ha salutato l’ingresso dei talebani a Kabul come una vittoria storica.

Secondo diversi osservatori vi è anche la possibilità che l’Afghanistan diventi meta di gruppi radicali provenienti dalla provincia siriana di Idlib. Recentemente Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo terroristico jihadista che controlla Idlib, ha iniziato a perseguire una politica volta a sradicare i jihadisti non siriani dal proprio territorio. Molte fazioni anti Assad in Siria sono infatti costituite da jihadisti provenienti da altre regioni del Medio Oriente, dal Caucaso e dall’Asia centrale. È dunque altamente probabile che, sotto la pressione di HTS, un certo numero di questi gruppi jihadisti possa trasferirsi dal nord della Siria in Afghanistan come ad esempio la fazione di Katibat al-Tawhid wa al-Jihad (da non confondere con l’omonimo gruppo iracheno), composto da combattenti delle repubbliche dell’Asia centrale, principalmente da uzbeki e tagiki, molti dei quali provenienti dalla Russia.

Anche la brigata Abu Salah al-Uzbeki, del quale il leader Sirojiddin Mukhtarov è stato arrestato da HTS a giugno, potrebbe trasferirsi dal nord della Sira in Afghanistan. Il leader di HTS, Abu Muhammad al-Jolani, ha necessità di ripulire la regione di Idlib dalle fazioni non siriane, per legittimarsi come unica fazione dominante e potrebbe organizzare un trasferimento di gruppi minori costituiti prevalentemente da non siriani in Afghanistan. Inoltre a Idlib rimane attiva la sezione locale del Partito islamico uiguro del Turkestan orientale, alcune cellule del quale già operano in Afghanistan, così come quella di gruppi jihadisti caucasici: Junud al-Sham e Ajnad al-Kavkaz, che separatisi da HTS stanno cercando opportunità in altri paesi per continuare le proprie attività dirette principalmente contro la Russia.

Ma la possibilità che si crei un corridoio per il trasferimento di combattenti stranieri dalla Siria all’Afghanistan è condizionata dalla presenza della Turchia che controlla gran parte delle aree del nord della Siria dove operano tali gruppi jihadisti. Ankara e Mosca hanno un accordo per Idilb, le forze militari turche hanno il compito di disarmare le formazioni più radicali. È impensabile che la Turchia possa fornire assistenza a questi gruppi. Ma la loro presenza a Idlib e la possibilità che si trasferiscano dalle zone controllate dalla Turchia in Siria non è del tutto da escludere.

Le aree in cui i jihadisti di Idlib potrebbero potenzialmente spostarsi sono le province afgane di Badakhshan, Kunar e Nuristan. Queste regioni divennero note come il Waziristan afghano e non erano completamente controllate né dalle ex autorità afghane né dai talebani. È infatti qui che hanno trovato rifugio rami di vari gruppi salafiti radicali. Ad esempio, a Badakhshan, sono ancora operativi frammenti del Movimento islamico dell’Uzbekistan (IMU), vale a dire la fazione che si è rifiutata di far parte del ramo locale dell’IS-K.

In questa regione opera anche il gruppo radicale tagiko Jamaat Ansarullah, che si è separato dall’IMU e ha compiuto attentati terroristici in Tagikistan. C’è chi sostiene che Ansarullah stia collaborando strettamente con i talebani e che ad esso sia stato affidato persino il compito di proteggere parte del confine afghano-tagiko, ma i talebani negano queste accuse.

Dunque l’ascesa al potere dei talebani lascia molti interrogativi soprattutto sulla loro capacità di risolvere la questione che più sta a cuore a tutti gli attori della regione, comprese Russia e Cina: quella della sicurezza e del terrorismo. Non sappiamo se dopo che si sarà formato il governo e che saranno state stabilite le relazioni estere, sentiremo sempre meno la voce dei cosiddetti “moderati” o sempre più quella dei “radicali”. Quel che è certo è che il potenziale jihadista in questa regione non è diminuito.

MARIANO GIUSTINO