DI MARCO FERRARI

In pieno 1968 il fotografo non si considera più un osservatore neutrale, ma entra a fare parte dei movimenti e diventa egli stesso militante. Questo ruolo cambia anche il modo di fotografare. Normalmente si considera il fotografo qualcuno che cattura le immagini. Invece il fotografo militante stabilisce un rapporto di solidarietà, un'empatia con le persone che ritrae. Una stagione molto lunga in realtà che inizia negli anni '60 e passando dalle lotte studentesche, il movimento femminista, e finisce oggi, comprendendo anche le lotte internazionali, le rivoluzioni latinoamericane, sino ad arrivare ai movimenti ecologisti e pacifisti e "friday for future". Dunque, anche i fotografi sono capaci di gesti politici.  Quando Robert Capa scattò la famosa immagine della morte di un miliziano lealista a Cordoba nel settembre del 1936 non poteva certo intuire che dava origine a quella che viene chiamata "fotografia militante" che ha avuto molte stagioni fortunate e altre sfortunate, dipende dai gusti politici. Nel suggestivo spazio Primo Piano di Palazzo Grillo a Genova (vico alla Chiesa delle Vigne 18r) è visitabile sino al 29 settembre la mostra "Le stagioni della fotografia militante, 1960-2020", organizzata dall'Archivio dei movimenti di Genova e curata da Paola De Ferrari, Giuliano Galletta, Adriano Silingardi, progetto grafico e allestimento di Roberto Rossini, arricchita da un catalogo di 386 pagine con testimonianze, biografie, bibliografie e saggi storici di Liliana Lanzardo, Monica Di Barbora, Pietro Tarallo. L'esposizione presenta 160 fotografie di 21 fotografi selezionati fra quelli ordinati e conservati dall'Archivio. In mostra i lavori di Giorgio Bergami, Lisetta Carmi, Edoardo Ceredi, Anna Ducci, il collettivo Freaklance (Marco Balostro, Astrid Fornetti, Davide Pambianchi), Angelo Gandolfi, Cesare Gavotti, Vladia Ghillino, Dario Lanzardo, Riccardo Navone, Giò Palazzo, Mario Parodi, Paola Pierantoni, Mauro Raffini, Mirella Rimoldi, Roby Schirer, Adriano Silingardi, Pietro Tarallo, Luigi Valente, Franco Vivaldi. 

L'Archivio, allo scopo di coinvolgere un pubblico non specialistico e giovanile, ha prodotto anche una webapp di gioco, "Fotogioco", realizzata da Virginia Niri e Massimo Tonon, che collega una selezione delle fotografie presenti in mostra a una serie di quiz a risposta multipla. Saranno anche organizzati laboratori didattici nelle scuole superiori sul rapporto tra fotografia e storia. 

Parliamo di quello che Galletta definisce "il lungo 68", una visione libertaria e creativa della fotografia che aveva a disposizione, oltre una condivisione ideologica con i movimenti, un parterre composto, come ci ricorda Pietro Tarallo - che nel 1974 scattò una nota immagine di Primo Levi in testa ad una manifestazione antifascista - da cortei, bandiere al vento, pugni chiusi, slogan scritti su cartelli e striscioni, servizi d'ordine, volti dei manifestanti e della gente, momenti di scontro con le forze dell'ordine e con i provocatori fascisti. Pure i temi non erano certo di second'ordine: le lotte operaie, l'antifascismo, la solidarietà internazionale, le battaglie per la casa e per la scuola, il femminismo e le rivendicazioni per i diritti civili e per la salute. Non è che i "fotografi militanti" venissero dal nulla, avevano alle spalle una generazione di fotogiornalismo sociale generato da autori come Cesare Colombo, Tano D'Amico, Gianni Berengo Gardin, Lisetta Carmi, Letizia Battaglia, Mario Dondero, Ugo Mulas, Ferruccio Malandrini, Ferdinando Scianna, Ezio Sellerio e di fotogiornalismo professionale, come nel caso di Mario De Biasi, Uliano Lucas, Virgilio Carnisio, Adriano Mordenti o Pino Settanni. Non a caso l'esposizione rende omaggio a Lisetta Carmi, genovese classe 1924, perseguitata dal fascismo, che negli anni Sessanta realizza reportage sui camalli e sui travestiti di Via Prè e dintorni, sul Teatro Duce e Staglieno, per passare poi ad Amsterdam a testimoniare il fenomeno dei Provo, autori di manifestazioni non violente contro il consumismo. Con lei marciano nei cortei Paola Agosti, Liliana Barchiesi, Paola Pierantoni, Agnese De Donato, fondatrice di Effe, Marcella Campagnano e Anna Ducci, che documenta la partenza della nave di aiuti per il Vietnam dal porto di Genova. I girotondi, le mani alzate a formare il simbolo della vagina, una iconografia vivace appaio testimonianze di un'immagine femminile opposta a quella che offrono oggi i canali televisivi.  Non si tratta, se non in casi rari, di leader dichiarati dei movimenti antagonisti, ma di portatori di una visione propria ed autonoma di ciò che accadendo in Italia e nel mondo: "Freelance della fotografia civile", li definisce Liliana Lanzardo, votati più alle espressioni dei volti che alla compattezza dei cortei, a dettagli e gesti, come nel caso di Tano D'Amico, che pure in quel periodo "dipingeva" per il foglio Lotta Continua. "Si potrebbe quindi dire, paradossalmente ma non troppo, - scrive Giuliano galletta nella prefazione al catalogo - che la fotografia militante sia sopravvissuta alla crisi della militanza tradizionale, transitando nei movimenti oggi più attivi: femminismo, ecologismo, pacifismo, noglobal, Lgbtq, sino a Friday For Future e alle Sardine. Si tratta ora di vedere se riuscirà a sopravvivere anche all'universalizzazione della fotografia, il vero volto della globalizzazione culturale. Per farlo gli eredi della fotografia militante, consapevoli della loro genealogia, dovranno accentuare la potenzialità critica della loro azione, dei loro shooting, non solo politica e sociale ma anche linguistica e tecnologica".

Un mestiere che non finisce mai perché l'orgoglio della lotta si annida ovunque, anche ai giorni nostri, tra precari e No-Tav, rifugiati politici e uomini e donne in fuga dalle guerre, gli ultimi del pianeta e i difensori di terre ancestrali.  

I Van Gogh o i Ligabue della fotografia spezzano così la visione eversiva che i lettori dei quotidiani o i telespettatori hanno di coloro che animano le piazze lasciando che "il cuore negli occhi" – definizione dello storico Diego Mormorio – annunci la scoperta della speranza che per molti di loro sta acquattata in ogni figura simbolica della condizione umana. Perché, in fondo, riprendere la bellezza del reale è come fermare la vita in un istante e conservarlo per sempre.