DI FEDERICA OLIVO

A voler cominciare da un punto, la data cruciale è il 7 febbraio 2014. È il giorno in cui l'allora ministro degli Esteri, Emma Bonino, firma la sospensione cautelare nei confronti dell'ambasciatore Michael Giffoni: "C'era stata la vicenda dei visti per l'Italia, la procedura seguita dall'ambasciata di Pristina (dove Giffoni ha lavorato dal 2008 al 2013, ndr) non era corretta. L'ente preposto dal ministero per queste materie mi ha consigliato di sospendere in via cautelare l'ambasciatore", dice l'ex titolare della Farnesina ad Huffpost. Da poco, lo ricordiamo, era stato scoperto un traffico di visti verso l'Italia, emessi in modo irrituale, nell'ambasciata italiana in Kosovo. Pochi giorni fa il tribunale ha chiarito che Giffoni non c'entrava niente.

"Poi il governo è caduto, di quella storia non ho saputo più nulla", continua Bonino, riferendosi alla procedura che ha portato all'allontanamento definitivo dell'ambasciatore dal ministero. In effetti è così: quelle erano le sue ultime settimane da ministro degli Esteri. Prima della fine del mese il governo Letta cadde, arrivò l'esecutivo a guida Renzi.

Quello che segue, per Giffoni, è un groviglio di carte e cavilli, ricorsi e contenziosi durati anni e, tutto sommato, non ancora finiti. Perché se l'ambasciatore ieri è stato assolto in primo grado, dopo una storia lunga più di sette anni - dolorosa sotto tutti i punti di vista - il ritorno al lavoro per cui si era speso per decenni non è scontato, né immediato.

Ma per capire cosa è successo, vale la pena riprendere le fila di quello che ha portato all'allontanamento di Giffoni dal ministero. Alla destituzione, l'unica mai varata per un ambasciatore, che, come ricorda lui stesso, "equivale alla fucilazione". La questione è molto più complessa di quanto possa sembrare, ed è frutto di un miscuglio tra legge, discrezionalità e iter giudiziari. Non davanti al tribunale, che Giffoni l'ha assolto, ma davanti al Tar.

Andiamo con ordine: quando Emma Bonino sospende Giffoni, la questione giudiziaria è agli albori. Ci sono le indagini in corso, del processo ancora nemmeno l'ombra. Ma allontanare l'ambasciatore "era un atto dovuto", ci spiega ancora l'ex ministro, connesso con quello che era successo. Un atto che arrivava dopo un'ispezione nella sede diplomatica di Pristina.

Passano pochi mesi e per l'ambasciatore arriva la tegola vera: a luglio 2014, intanto alla Farnesina era arrivata Federica Mogherini, un decreto ministeriale vara la destituzione dell'ambasciatore. Di pari passo con il tracollo professionale, Giffoni deve affrontare vari problemi di salute molto seri, la fine del suo matrimonio. È costretto a tornare a vivere da sua madre.

La destituzione arriva perché la propone una commissione e il ministro la recepisce, si legge nella risposta della Farnesina, a un'interrogazione parlamentare del 22 settembre 2016, per quella che è. Senza alleggerire la sanzione, come pure avrebbe potuto fare, per legge. Avremmo voluto approfondire con Mogherini il contesto e le ragioni di questa decisione ma, per il momento, non abbiamo ricevuto risposte. A questo punto, Giffoni è il primo ambasciatore destituito nella storia d'Italia. Per lui la sanzione più grave che si possa immaginare nei confronti di un diplomatico. Più della censura, della riduzione dello stipendio, della sospensione della qualifica. Si poteva fare, senza che ci fosse stato un processo? Sì. La legge non dice che disciplina le sanzioni per i diplomatici non fa riferimento solo ai reati, né dice che questi, laddove siano presunti, debbano essere prima accertati da un giudice.

Naturalmente Giffoni non accetta questa destituzione e fa ricorso al Tar. Intanto il ministro degli Esteri cambia. A fine ottobre 2014 Federica Mogherini diventa Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, vola a Bruxelles. Alla Farnesina arriva Paolo Gentiloni. Sotto il suo governo arrivano le decisioni del Tar: sono due e chiedono entrambe di reintegrate Giffoni. Di fargli riprendere il suo posto. Il ministero non adempie. Perché? Le motivazioni sono spiegate nella risposta all'interrogazione citata prima. A intervenire, sul quesito posto dal senatore Luigi Compagna, è l'allora sottosegretario Vincenzo Amendola.

Siamo a giugno del 2015 quando il Tar chiede di reintegrare Giffoni. Lo fa - è il senso di quello che si legge nella risposta all'interrogazione - perché nel provvedimento di destituzione c'era un vizio di forma. La Farnesina, che non ha intenzione di tornare sui suoi passi, elimina quel problema formale e convalida l'atto senza restituire all'ambasciatore il suo posto di lavoro. Anzi, confermando la sua posizione. Gli atti passano sulla scrivania di Elisabetta Belloni, allora segretario generale alla Farnesina, oggi capo del Dis.

Giffoni ricorre ancora. Il Tar si pronuncia due volte: dice che l'ambasciatore ha torto nel chiedere la sospensione della destituzione, ma ragione nel domandare l'annullamento dell'atto che la prevedeva. Sembrano cavilli appassionanti solo per qualche malato di diritto amministrativo, ma dietro c'è la vita di una persona. Che resta, quella sì, sospesa, in mano ai burocrati dei ministeri e alle aule di più di un tribunale.

Trovandosi di fronte a un secondo ricorso, il ministero mette tutto nelle mani del Consiglio di Stato. Quindi, quando, a settembre 2016, gli si chiede perché Giffoni non è stato ancora reintegrato, la risposta è: aspettiamo Palazzo Spada. Dalla sua, è bene sottolinearlo, la Farnesina aveva alcune decisioni del tribunale di Roma che - sulla stessa vicenda, ma per altri indagati - aveva dichiarato la correttezza "del recesso dal rapporto di lavoro di tutte le persone coinvolte".

La decisione del Consiglio di Stato arriva, qualche tempo dopo, e dà ragione al ministero. Non si revoca la destituzione, almeno fino a quando non si pronuncia il giudice penale. Ed eccola, la decisione del giudice penale: Giffoni non ha fatto parte di un'associazione a delinquere, non ha favorito in prima persona l'immigrazione clandestina. E ora? Da Adriano Sofri a Luigi Manconi chiedono che sia riabilitato, che torni al suo posto.

Per quello che è successo in questi anni un responsabile preciso, anche a volerlo cercare, non c'è. C'erano delle esigenze di cautela, dopo che erano state accertate delle procedure illecite sui visti, che hanno portato alla sospensione. Poi c'era la legge, che dava come opzione la destituzione. C'era la discrezionalità del ministro, che ha deciso che quella era l'unica sanzione che andava bene. E infine c'erano i tempi, lunghi, della giustizia. Di quella ordinaria, come di quella amministrativa. Nel mezzo un uomo, che ha assistito alla distruzione della sua vita, lottando per riprendersi esistenza e dignità. E qualcosa, da pochi giorni, ha ottenuto.