È ancora più che mai vivo il dibattito sull'esito delle elezioni amministrative di domenica e lunedì scorsi e - anche se si tratta di risultati soltanto parziali poiché il quadro si completerà con i ballottaggi del 17 e 18 ottobre prossimi - le forze politiche sono già impegnate nel trarre conseguenze e orientamenti dalla consultazione. Il primo dato che emerge con evidente chiarezza è che il test amministrativo ha fatto registrare una notevole sconfitta di due partiti di opposti schieramenti: la Lega nel centrodestra e il movimento Cinquestelle nel centrosinistra.

Nel centrodestra è evidente che Salvini paga le conseguenze del conflitto con la Meloni che, nonostante all'ultim'ora i due abbiano tentato di offrire agli elettori un'immagine rassicurante, è, comunque, sotto gli occhi di tutti. Il fatto è che il carisma del leader leghista si è fortemente affievolito: Salvini non è più, all'interno del suo stesso partito il leader incontrastato che era e il voto di domenica e lunedì darà, inevitabilmente, fiato ai suoi contestatori interni, a cominciare da Giorgetti.

In realtà quel che manca al centrodestra è un leader capace di tenere insieme le varie anime della coalizione e sbaglia Salvini se crede di risalire la china con iniziative scioccamente demagogiche come quella di far disertare ai "suoi" la riunione del Consiglio dei ministri dedicata alla riforma fiscale. Quel che servirebbe al centrodestra è un "federatore" qual è stato, in passato, Silvio Berlusconi che, per evidenti ragioni di età e di salute, non può più, oggi., esercitare questo ruolo.

Insomma, da questa parziale consultazione esce vittorioso il centrosinistra. Ma anche qui è necessaria un'analisi dei risultati. È indubbio che il Pd abbia ottenuto un risultato positivo (e, in qualche misura sorprendente). Ma contemporaneamente i suoi alleati, i pentastellati, hanno subito un vero e proprio tracollo. Come si svilupperà, allora, nelle settimane e nei mesi a venire, l'attuale alleanza? Saranno i cinquestelle disposti a rinunciare a velleità di protagonismo e ad accettare di essere di supporto al partito di Enrico Letta? A sentire Giuseppe Conte non sembra.

Ma la volontà di riscatto di Conte, sempre "orfano" della presidenza del Consiglio, è probabilmente destinata a produrre più danni che benefici. Letta, che appare al momento galvanizzato dal buon risultato amministrativo, deve stare attento avendo consapevolezza che il 3 e 4 ottobre, il Pd ha soltanto "preso un brodino" e che la strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli.

Un altro dato di grande rilievo concerne il calo del numero dei votanti. Si tratta di un fenomeno che potremmo definire fisiologico e che già da anni abbiamo potuto constatare, ma che questa volta ha assunto dimensioni tali da indurre a qualche attenzione in più. Ci sembra, in primo luogo, che esso dimostri - ed è grave - che tra partiti e opinione pubblica si è determinata una frattura della quale le forze politiche devono prendere atto, rendendosi conto che le loro quotidiane baruffe non interessano la gente e, anzi, la infastidiscono e la allontanano sempre più dalla politica.

Ma come possono pensare di svolgere ancora una funzione utile al paese se la gente è disgustata al punto di disertare il voto che è il momento culminante di ogni democrazia? In conclusione, quel che si chiede ai partiti e che, a cominciare dal loro interno, avviino una profonda riflessione e che l'errore peggiore che potrebbero commettere sarebbe quello (è vero, Salvini?) di mettere in crisi Mario Draghi e il suo governo.

OTTORINO GURGO