La polemica sollevata in Consiglio dei Ministri sull’approvazione del documento programmatico di bilancio ‘senza che il testo fosse stato distribuito’ offre l’occasione per una riflessione più ampia. La doppia emergenza - pandemia più politica - ha concesso di fatto pieni poteri al Presidente del Consiglio. Pieni poteri, sottolineo, non grazie a una legge speciale ma a una condizione oggettiva figlia di più fattori: un risultato elettorale che non consentiva la costruzione di governi di coalizione tra forze politiche omogenee, l’esplosione della pandemia e, in ultimo, il quadro europeo modificato da Brexit. Che il prestigio dell’Italia nel mondo sia notevolmente cresciuto dal febbraio scorso è un fatto, ed è un fatto che vaccinazioni e ripresa economica abbiano subito un forte slancio. Merito del governo e di Draghi, senza dubbio, sotto il segno dell’autorevolezza e della capacità di decidere senza che un ‘esecutivo di opposti’ costituisca un freno all’azione di Palazzo Chigi.

Anzi, è proprio l’esecutivo di opposti una delle ragioni che consente a Draghi di governare con efficacia. Ciascun partito, in nome dell’emergenza, ha conferito al premier parte della sovranità in attesa di riappropriarsene all’indomani del prossimo voto quando, è auspicabile, si torni alla normalità. Tuttavia, fin da ora, alcune correzioni di rotta sono necessarie. La prima è ripristinare il ruolo del parlamento nella sua integrità. Non si vive di soli voti di fiducia, non si vive solo affidandoci a un calendario fissato dal governo come se il parlamento fosse delegittimato o, peggio, non avesse contezza dello stato in cui versa l’Italia. Il rischio è un corto circuito in prossimità dell’elezione del presidente della Repubblica tanto più oggi che il quadro politico si è mosso a seguito del voto nelle città.

Potrebbe essere il parlamento ad assumere l’iniziativa. L’Italia post pandemia non sarà la stessa, l’Unione Europea è di fronte a scelte strategiche, la sfida Cina-USA è in corso. La storia si arrampica su tornanti ignoti e noi siamo fermi, spettatori di un cambiamento epocale. Sarebbe quanto mai utile un dibattito sul futuro, di taglio costituente, protagonista il parlamento con tutte le sue forze politiche. Che si consegni agli italiani una visione, un’idea di ciò che saremo, una prospettiva a chi oggi ha vent’anni. L’alternativa è dare ragione a Turati che, cento anni fa, sfidò il capo del governo così: ‘È la prima volta che non è il governo a presentarsi alle Camere, ma le Camere a presentarsi al governo’. Di tutto c’è bisogno meno che di un parlamento afono e senza idee.

RICCARDO NENCINI