di Marco Plutino

Con l’affossamento, per questa legislatura, del progetto di legge Zan, va in scena l’antipasto delle elezioni al Quirinale.

Per quanto sulla manovra di bilancio si affaccino alcune ombre, in Parlamento non ci saranno problemi. È invece una procedura a votazione segreta, su un tema che divide e che lascia spettatore il governo Draghi, l’occasione perfetta per consumare le prime manovre tattiche per la battaglia del Quirinale.

Il Presidente Mattarella ha detto chiaramente di non ambire alla rielezione e una disponibilità di Mario Draghi chiuderebbe subito la partita. Siccome allo stato non esiste una prospettiva simile, il Quirinale si prospetta come una guerra di nervi con due possibili king maker. Il centro-destra che, per la prima volta, è in grado di influenzare pesantemente la scelta del successore di Mattarella, se non di determinarlo; ragione per cui Berlusconi sta facendo di tutto per tenerla insieme rispetto alle tendenze centrifughe. 

E Renzi, che sa bene che avrà una occasione irripetibile per far assurgere Italia Viva a protagonista, nella posizione mediana occupata dal suo consistente gruppo parlamentare (mentre Calenda e la sua Azione sono, come noto, assenti dalla partita). Tralasciando le accuse reciproche su chi ha affossato il ddl Zan, notoriamente oggetto di scarse simpatie anche in ambienti M5s, il messaggio che emerge oggettivamente è chiaro: i numeri sulla carta non tengono, fine legislatura si avvicina e le fibrillazioni aumentano: con il voto segreto può accadere più o meno di tutto.

Nelle elezioni del Quirinale, in assenza di una maggioranza autosufficiente in parlamento in seduta comune (quindi comprendente anche le delegazioni regionali) o di un nome che metta d’accordo tutti, si può dare per scontato un consistente ruolo dei franchi tiratori. Ciò vuol dire che chi è posto al crocevia degli schieramenti può giocare un ruolo cruciale. C’è da capire in quale direzione voglia giocarlo. È lì che si determinerà il profilo del candidato.